Dopo un'ora di viaggio già non ne potevo più. La paura di trasferirmi in una nuova città aveva, quasi subito, lasciato il posto al disperato bisogno di scendere da quel maledetto treno.
Mentre i minuti passavano, uno dopo l'altro, continuavo a guardare fuori dal finestrino con metà faccia schiacciata contro il vetro; come se quel contatto potesse bastare a donarmi un po' di aria. Aria che, ovviamente, dentro al treno non cera.Carol, invece, non sembrava essersi accorta di niente. L'avevo vista leggere per tutto il tragitto e poi addormentarsi.
Come faceva a dormire così bene dovunque?
Io a malapena mi sentivo al sicuro a dormire in camera mia.
Scossi la testa, non volevo pensare a questo.Allontanai il viso dal vetro e guardai per qualche minuto il mio riflesso, a volte mi chiedevo come sarebbe stata lei a vent'anni.
Eravamo uguali o diverse? Io non ricordavo nulla.
Da quando i miei genitori mi raccontarono per la prima volta di lei e di come era scomparsa, io mi sforzai, per anni, di recuperare qualche ricordo di quella notte. Ma avevo solo due anni e non potevo ricordare. Non ci riuscivo.Carol mugugnò qualcosa e io mi distrassi da quei pensieri, per fortuna.
Ripresi a guardare fuori, le montagne si susseguivano a ripetizione una dopo l'altra, alcune piene di vegetazione e altre più deserte, mentre i paesaggi a cui ero abituata si perdevano sempre più in lontananza.
Improvvisamente mi resi conto che più il treno andava avanti più io mi sentivo forte, come se stessi percorrendo l'unica strada a me possibile. Quella giusta. Finalmente, lontana da casa, forse avrei potuto smettere di chiedermi perché non ero sparita io al posto suo. Ero anche la sorella maggiore, avevo due minuti più di lei.
Sarebbe dovuto accadere a me.«Hei» Carol si stropicciò gli occhi, biascicando «Dove siamo?»
Scrollai le spalle «Penso manchi qualche ora»
Lei sorrise raggiante «E' una bella città, ti piacerà»Ero sicura che Lilith lo fosse. Carol mi aveva parlato così tanto di quel posto che mi sembrava di esserci già stata almeno un milione di volte.
Lei era cresciuta li e lì aveva avuto l'infanzia che ogni bambino merita, quella che avrei voluto avere anche io. Una volta mi aveva raccontato delle escursioni in montagna con suo padre, delle meravigliose viste panoramiche.
Non vedevo l'ora di arrivarci.
«Ne sono sicura» Le sorrisi.Lei afferrò il libro che le era caduto dalle gambe e iniziò a sfogliarlo, poi si girò verso di me.
«Tua madre come l'ha presa?»Scrollai le spalle per la seconda volta, avrei dovuto smettere di rispondere così ad ogni cosa.
«Ha pianto» Sorrisi «Per la felicità di vedermi diventare grande ha detto, ma ho avuto la sensazione che pensasse a lei anche in quel momento»Carol abbassò lo sguardo e mi sfiorò la spalla «Forse sei tu che ci pensi troppo»
Scossi la testa senza rispondere, non parlavo mai volentieri di Eva, non riuscivo ad accettare quello che era successo. Nessuno sarebbe riuscito ad accettare di avere perso, in qualche modo inspiegabile, la sua gemella.
Il resto del tempo passò lentamente come la prima ora e, solo quando arrivammo, mi sembrò che il tempo riprendesse a scorrere normalmente.
Appena scesa dal treno sentii un brivido caldo scorrermi lungo la schiena, mi sentivo nel posto giusto.
Iniziai a sorridere, guardandomi intorno come un' idiota.
Cera qualcosa, dentro di me, che non voleva altro che quello, proprio come se stessi aspettando da anni di arrivare in quel luogo. Era una sensazione meravigliosa.
Tutto iniziò a sembrarmi fantastico. Il piccolo bus affollato che ci portò all'appartamento era la mia carrozza, le lamentele di Carol erano la mia canzone preferita e le nuvole grigie nel cielo erano come fiori di un profumo afrodisiaco.Carol, invece, sembrava solo stanca e, più io mi esaltavo, più lei si irritava
Quando arrivammo davanti alla porta del nostro nuovo appartamento Carol mollò la valigia per terra e mi sorrise.
«Ci siamo»Io annuii sorridendo e battendo le mani, con un entusiasmo che non sembrava essere mio.
«Apri, apri, apri!»Carol alzò un sopracciglio, e frugò nella borsa per cercare le chiavi.
«Sta calma! Ma chi sei?» Infilò la chiave nella serratura «Chi sa se c'è già l'altra ragazza»Quando entrammo scoprimmo che lei cera. Se ne stava immobile a leggere un giornale con in mano una ciotola di gelato. Era una ragazza magra, magrissima e portava una lunga treccia di capelli castani sul davanti. Mi immobilizzai guardando quei capelli così lunghi, infiniti. Ripensai a tutte le volte che avevo provato a farli crescere e scossi la testa. Evidentemente non era destino.
Quando ci vide entrare alzò la testa e sorrise, di un sorriso meraviglioso.
«Ciao» Ci venne incontro per aiutarci a portare dentro le cose «Io sono June»
Le strinsi la mano, ancora più entusiasta di prima. Ero terribilmente felice che sembrasse una persona normale.
«Io sono Mia»Carol arrivò trascinando una valigia ancora più grande delle altre.
Alla fine avevo portato anche i vestiti invernali.
«Io sono Carol» Anche lei le strinse la mano.Andammo subito in camera con l'intenzione di sistemare le valigie.
Presto, però, ci perdemmo in chiacchiere ed anche Carol sembrò rilassarsi, abbandonando finalmente l'idea di sistemare tutto subito.June sembrava davvero entusiasta di averci li e non faceva altro che parlare di se, della città, del suo ragazzo... Scoprimmo presto che lei frequentava il secondo anno di lettere, dove sarei andata anche io. Ci raccontò dei locali che andavano di moda e di quelli da evitare assolutamente e ci parlò del suo ragazzo, Alex.
Le parole sulle sue labbra assumevano un' intensità tale che non riuscivo a smettere di ascoltarla. Era così presa dalla sua vita, da dare l'impressione che non ne avrebbe cambiato nemmeno un secondo. Per un attimo provai invidia per lei; così bella,... così felice.
Mentre parlava, le mani leggere gesticolavano muovendo l'aria intorno a noi. Non so perché ma i suoi gesti e l'entusiasmo che emanava mi fecero subito sentire a casa.
Fin dal primo sguardo, infatti, mi sembrò di conoscerla da tutta la vita.«Ah un'ultima cosa» Il suo sguardo divenne improvvisamente timido, triste «Non andate nei boschi alla notte, penso ci sia qualche animale o ... cose così»
Carol ripiegò la stessa maglia per la seconda volta, probabilmente aveva notato una piccola piega.
Io me ne stavo stesa sul materasso a guardare il soffitto. Respiravo la mia prima boccata di libertà senza nemmeno accorgermene. L'aria entrava direttamente nei miei polmoni senza darmi tempo di riflettere, di pensare al grande cambiamento che stavo vivendo.
«Che genere di animale?»June scrollò le spalle «Non lo so, ma questa settimana è scomparsa una ragazza»
Carol si immobilizzò. Io guardai gli occhi castani di June incupirsi e smarrirsi verso il pavimento.
«Oddio» Ripresi a fissare il soffitto «Ma come è successo?»June scrollò la testa, gli occhi le divennero lucidi «Non ne ho idea, Io non la conoscevo bene.. l'ho letto ora sul giornale»
Nessuno disse più niente per un po'. Forse avevamo paura di qualcosa o, forse, eravamo semplicemente troppo stanche per parlare. Io avrei voluto solo dormire, e mi chiesi quanto tempo ci avrei messo ad addormentarmi quella notte, in un posto nuovo, un posto che non conoscevo.
«Stasera comunque potete uscire con me, se vi va» June sorrise di nuovo, interrompendo il silenzio.
Carol, che si era persa di nuovo a disfare le valige, fece una smorfia «Io sono troppo stanca»
«Io invece ci vengo» Carol mi rimproverò con lo sguardo «D'altronde le lezioni iniziano tra una settimana»
E poi sapevo già che non sarei riuscita a dormire.June annuì e sorrise, avvolgendomi completamente con la sua allegria.
«Ci divertiremo»
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APATHY
ParanormalMia Anderson è una diciannovenne bella, esuberante e con la passione per la letteratura. Ma nel suo passato si nasconde un episodio dal quale cerca disperatamente di fuggire: la misteriosa scomparsa di sua sorella. L'inizio dell'università...