Parte 13

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Il tragitto di ritorno fu esattamente come quello di andata.
Mi veniva da vomitare.
«Potresti andare più piano?»

June rise sonoramente mentre io non ci trovavo davvero niente di divertente «Assolutamente no»

Cercai di distrarmi guardando fuori dal finestrino ma era impossibile, nella mia testa c'era un'unica cosa: quel maledetto disegno. Da quando eravamo partite ero come impazzita; non riuscivo a smettere di pensarci. Mille pensieri e domande si agitavano nella mia mente ed io non ce la facevo più. 

Una scossa mi fece rimbalzare sul sedile «Io ti vomito in macchina»

Carol fece una smorfia «Che schifo»

Le sorrisi e subito, guardandola, mi chiesi se parlarne con lei.
Avrei dovuto? Era la prima volta dopo anni che le nascondevo qualcosa.
Aprì la bocca per parlare ma la richiusi subito. No, non potevo dirglielo. Anche se la tentazione di farlo era forte sentivo di non doverlo fare.
Scossi la testa, la stavo prendendo troppo seriamente. 

Mi riappoggiai al finestrino. Sui sedili davanti, June e Carol litigavano come una vecchia coppia di coniugi. Storsi la bocca in quello che poteva sembrare un sorriso; dovevo togliermi dalla testa quello strano segno.

Guardai l'ora «Secondo voi la biblioteca è aperta?»

Sghignazzarono e poi June rispose «Bo si, credo di si»

Io sorrisi implorante «Mi lasceresti li?»

June annui confusa mentre Carol si dilungava in commenti poco simpatici su di me.
Non è che non mi importasse quello che aveva da dire. Sapevo che avrebbe voluto solo godersi con me ogni secondo dei nostri ultimi giorni di libertà, ma non riuscivo ad ascoltarla.

Nella mia mente, non so perché, c'era un'unica cosa davvero importante: dovevo saperne di più.

***

La biblioteca era vuota proprio come l'altra volta. Storsi la bocca mentre mi guardavo intorno.
Come trovavo un computer in questo posto gigantesco? 

Carol aveva ragione; avrei dovuto comprare un telefono nuovo, magari uno di quelli con cui si può navigare su internet.

Iniziai a girare a vuoto tra uno scaffale e l'altro, accompagnata solo dal suono dei miei passi che riecheggiavano nell'immensa biblioteca. Dopo mezz'ora non avevo trovato nemmeno l'ombra di un computer, e la commessa non sembrava intenzionata a fare il suo lavoro, dato che al suo posto non c'era altro che un piccolo biglietto con su scritto "Torno subito".
Sospirai, avrei davvero voluto sapere quanto durava per lei il termine "subito".

Rassegnata mi avviai verso la porta d'uscita. Forse era meglio così, dovevo smetterla di ossessionarmi per cose inutili o sarei diventata veramente pazza come mia madre.
Mentre camminavo mi tornarono in mente i suoi discorsi senza senso, le sue fobie inutili, le sue superstizioni. Sorrisi, alcune delle cose che mi diceva lei erano molto simili a quelle della leggenda di Ethan. 

Scacciai questi pensieri con un gesto e appoggiai la mano sulla maniglia della porta, pronta ad uscire. 

In quel momento, proprio quando la mia mano toccò la porta, qualcosa mi spinse a trattenermi e, come se lo avessi sempre saputo, andai decisa nella stanza dei computer. 

Questa si trovava dopo una piccola rampa di scale in fondo ad un lungo corridoio.
Quando ci arrivai scossi la testa, incredula.
Come avevo fatto a trovarla così all'improvviso?
Non era normale. Tutto questo non era possibile.
Mi contai le dita della mano, qualcuno mi aveva detto che nei sogni a volte potevano essercene di più.
Dieci, ok non era un sogno.

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