Parte 47

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Atterrai sul pavimento di camera mia con quello stupido ragazzo tra le braccia ed emisi un imprecazione.

Era mattina, appena le nove o le dieci, e sul pendio accanto al dirupo di Lilith un vento forte agitava le cime dei grandi alberi tutto intorno.

Nell'aria c'era l'odore dell'autunno che incombe, delle foglie che cadono tingendo ogni cosa di arancione e di giallo.

Sospirai sonoramente; le piccole ante di legno della finestra sbatocchiavano rumorosamente e le tende marroni si muovevano sventolando nella camera con movimenti lenti e poi subito veloci, assecondando il vento.

Lasciai cadere Aidan sul materasso disfatto di camera mia con un gesto brusco prima di andare a chiuderle.

Il ragazzo si afflosciò su se stesso emettendo un rantolo a mezza voce; le sue palpebre vibravano frenetiche, le labbra si tendevano per poi rilassarsi.

Forse sarebbe stato meglio ucciderlo e farla finita con lui, sembrai dirmi distratto, tanto era probabile che alla fine morisse comunque.

Decisi di non fare niente di stupido e mi passai una mano tra i capelli lunghi.

Il taglio sulla fronte continuava a formicolare in maniera fastidiosa ma sentivo che stava guarendo.
Aggrottai la fronte quando mi ricordai dello scontro che avevo avuto con Daniel, del suo pugno che mi colpiva il viso, delle sue parole su Lisa…

Scrollai la testa e borbottai qualche frase.

Era davvero da troppo che non tornavo a casa, mi dissi allora sollevando lo sguardo; tutto ora mi appariva vecchio, quasi marcio, in quella stanza piccola e grigia.
Ogni cosa era dove l'avevo lasciata; i disegni sulla scrivania, i vestiti piegati sul davanzale della finestra, il cartone di latte accanto al materasso.

Da quando ci eravamo trasferiti a Lilith io avevo vissuto lì; nella casa più piccola e diroccata di tutte quelle che i Cacciatori avevano messo a disposizione degli Anonimi. L'avevo scelta proprio per la sua posizione isolata e per il suo aspetto trasandato; un aspetto che in effetti mi somigliava moltissimo, in un certo senso.

Mi cambiai la maglia velocemente soffocando sul nascere ogni pensiero su tutta quella storia, ogni pensiero su Daniel e il suo strano comportamento, su Mia e su quello che era.

Uscì di casa velocemente senza guardarmi intorno. L'aria all'esterno era fredda e pungente, ma io non la sentivo. Infilai le mani nelle tasche dei jeans e mi misi in cammino con il passo rapido e preciso, senza nemmeno guardare dove mettevo i piedi.

Volevo solo assicurarmi che Lisa stesse bene.
Volevo vederla, finalmente.

Serrai i pugni al pensiero di lei, al pensiero delle parole di Daniel.

Non potevo credere che fosse stata davvero lei ad uccidere tutte quelle ragazze. Non poteva essere, continuavo a ripetermi.

Dovetti camminare per dieci minuti prima di raggiungere l'insieme di edicifi che formava il rifugio per gli Anonimi di Lilith.

Erano tutte case molto simili; piccole baite in legno e mattoni scuri rialzate dal terreno da tre o quattro miseri scalini di legno invecchiato e scricchiolante. Ce n'erano circa una quindicina; tutte ad una ventina di metri di distanza l'una dall'altra. Viste in lontananza apparivano quasi come un piccolo villaggio di montagna.

Erano arroccate sul pendio che portava alla cresta della grande crepa. Il dirupo distava solo qualche metro dal di là, ma gli alberi lo rendevano totalmente invisibile. Per arrivarci, infatti, bisognava passare in mezzo ad un fitto bosco pieno di trochi ed arbusti che si univano gli uni sugli altri in maniera irregolare e sporgevano in diagonale dal terreno.

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