Parte 19

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L'aria della notte era fredda. Qualcosa mi graffiava i piedi. Nella mia testa c'era un solo e unico pensiero: dovevo trovarla.
Una voce nella mia mente continuava a ripetermelo ed era come se ad ogni passo quella voce diventasse più forte. Talmente forte da coprire tutto il resto.

Un dolore al viso, qualcosa di umido tra le mani, non importava, dovevo andare avanti.
Sentii qualcuno chiamare il mio nome, una voce familiare interruppe i miei pensieri. Mi sentii cadere e qualche parola mi arrivò all'orecchio come sussurrata dal vento lontano.

«Mia!»

Ora due voci combattevano nella mia testa, quella più forte voleva lottare, andare avanti.

« ...Daniel non puoi...»
«Trevor vai ... hanno bisogno di te»

Qualcosa mi colpì. E tutto divenne più scuro, più denso.
Dovevo trovarla.
Provai ad urlare ma non uscii alcun suono. Qualcosa mi tratteneva ma io dovevo andare.
Due braccia mi sollevarono ed io volevo liberarmi, combattere, andare avanti, sempre di più.
Dovevo solo trovarla, dovevo fare solo quello. Nulla aveva importanza. Solo quello.

«Ma che cosa...non ce la faranno ...»

I dialoghi diventarono soffusi nella mia mente, nulla era importante. Solo una cosa. Solo quello.

«... devo portarla... »

Un forte rumore, un dolore al braccio, un urlo e poi più niente.

***

La mia testa sbatté contro qualcosa di duro, qualcosa di freddo. Aprì gli occhi lentamente.
Era notte, lo potevo capire dalle ombre scure degli alberi che scorrevano, veloci, al di la del finestrino. Appoggiai una mano sul vetro freddo, incredula, e sbattei le palpebre per qualche secondo. Il cuore iniziò a martellarmi nel petto quando mi accorsi di cosa stava accadendo.
Era successo di nuovo.

Mi lasciai sfuggire un sospiro e una fitta di dolore mi percorse il braccio destro. Lo strinsi forte a me trattenendo una smorfia di dolore.

«Mia?» Al suono di quella voce mi immobilizzai e improvvisamente tutto divenne più nitido.
Ero su un'auto.

Mi piegai su me stessa come per cancellarmi, per cancellare quel momento e tutto quello che era accaduto fino ad allora.
Un lamento mi sfuggì dalle labbra.
Non c'era aria o se c'era io non riuscivo a trovarla.

«Mia?» La voce che mi chiamava divenne più forte, ma la mia bocca era immobile, paralizzata. 

Sentivo i piedi andare in fiamme, accendersi sempre più di dolore a ogni minuto che passava.
Abbassai lo sguardo; erano pieni di tagli.
Una lacrima mi cadde su una gamba rinfrescandola con il suo tocco umido.

«Mia?» La voce continuava a chiamarmi, sempre la stessa voce familiare e profonda. 

Sbarrai gli occhi e mi voltai lentamente verso Daniel. Il battito del mio cuore accelerò. Non ricordavo cosa fosse successo.
Perché ero li? Perché c'era lui?

«Tutto ok?» Strinsi le braccia al petto e annuì debolmente rispondendo più a me stessa che a lui.
Sulla mia lingua le parole sembravano congelarsi diventando solo piccoli lamenti.

Daniel non disse altro ed io rimasi a guardarlo, come paralizzata. Avrei voluto potermi perdere in quei suoi occhi scuri almeno per un attimo, come se non potessi riconoscerlo se non dall'oscurità che vi vedevo dentro. Ma i suoi occhi erano fissi sulla strada davanti a se, ed io potevo vedere solo il suo profilo; la mascella contratta, il petto che si alzava e si abbassava mosso da profondi respiri. 

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