Le pareti erano quelle della mia vecchia stanza.
Girai lo sguardo da un muro all'altro e mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
Era camera mia.Tutto era uguale a come me lo ricordavo: gli acchiappasogni appesi sulle pareti, le foto di me e Carol attaccate in disordine sulla piccola lavagnetta e anche le tende color panna che aveva scelto mia madre e che ora si agitavano mosse dal vento tiepido proveniente da fuori.
Avevo fatto un incubo. Solo un incubo. Qui ero al sicuro.Mi misi subito seduta quando sentì, nell'aria, l'odore della cena quasi pronta. Un sorriso mi si dipinse sul volto, avrei visto mia madre. Ero a casa.
Mi alzai più in fretta che potevo e subito mi precipitai in corridoio. Lasciai scorrere un dito sulle pareti bianche che mi erano così familiari, mentre i piedi mi trascinavano in cucina, verso l'odore di pasta che mi stava solleticando il naso.
«Non mi sembra vero!»
La voce di mia madre mi colse di sorpresa e subito mi fermai. C'era qualcuno? Scrollai la testa capendo che probabilmente era solo al telefono e, ancora più felice, ripresi a camminare.
Ad ogni passo un largo sorriso si faceva strada sul mio viso al pensiero di riabbracciare mia madre.Quando mi avvicinai alla porta della cucina, però, vidi che al tavolo, dove di solito stavo seduta io, c'era qualcun altro. Una ragazza dai lunghi capelli neri sedeva di spalle, ed io, non riuscito a vedere altro oltre al modo in cui questi gli scendevano lungo la schiena.
Subito il mio battito cardiaco accelerò.«Non sai da quanto tempo ti stavo aspettando Eva»
Mia madre le appoggiò una mano sulla spalla mentre la ragazza, sollevando le braccia pallide marchiate da iniziali, si ravvivava i capelli.
«Non mi chiamo più così mamma» Un brivido mi corse lungo la schiena «Non da quando sono rinata»
***
Aprì gli occhi di soprassalto stringendo a me le lenzuola.
Mi ci volle qualche secondo per capire che non ero nella mia stanza. Per prima cosa sentì un forte odore di tabacco che ristagnava nell'aria e che mi fece arricciare il naso e, solo dopo, i miei occhi si posarono dubbiosi su muri, mobili e oggetti che ero sicura non fossero i miei.
Le tende marroni alla finestra erano mosse, come nel mio sogno, da un vento tiepido tipico di settembre che agitava alcuni fogli appoggiati alla rinfusa su una scrivania scura e addossata dal lato opposto della stanza.
Sbattei gli occhi.
Le pareti, colorate di un grigio topo, erano totalmente spoglie e il letto nel quale dormivo non era che un materasso buttato per terra.
Mi alzai, con le gambe che tremavano, e raggiunsi la scrivania. Era di legno scuro e pesante e, sulla sua superficie, moltissime venature si intrecciavano mostrando diverse tonalità di marrone.
Cercai di fermare il vorticare frenetico dei fogli di carta e, nel farlo, mi accorsi che questi erano disegni.
Erano di Daniel?Ne presi in mano uno. Rappresentava una ragazza dai capelli neri talmente lunghi da sfiorare il pavimento. Sulla sua testa si addensavano nuvole scure, mentre lei, in piedi sull'orlo di un precipizio, allargava le braccia. Sulla sua pelle nuda sembravano brillare dei diamanti e, sul suo viso, era dipinta un'espressione talmente decisa da mettere i brividi. Le sue labbra sottili, infatti, si arricciavano in un sorriso enigmatico mentre, i suoi occhi, non erano altro che due grandi pozzi neri.

STAI LEGGENDO
APATHY
ParanormalMia Anderson è una diciannovenne bella, esuberante e con la passione per la letteratura. Ma nel suo passato si nasconde un episodio dal quale cerca disperatamente di fuggire: la misteriosa scomparsa di sua sorella. L'inizio dell'università...