Jonathan
Girai la chiave nella serratura del portone di casa ed entrai barcollando come un ubriaco.
Anzi, non come un ubriaco ma da ubriaco.
Avevo un mal di testa atroce, colpa di quel mix di cocktail alcolici che avevo bevuto a fondino senza un minimo di ritegno.
Era stata una festa da sballo, avevo conosciuto gente nuova, persone che non avevano l'interesse di sapere chi tu fossi.
Avevo ballato, tanto. Tante donne avevamo provato a sedurmi. Era stato bello, per un attimo mi ero dimenticato di tutto il resto, delle sofferenze, del dolore, dei sensi di colpa degli ultimi mesi e degli imminenti problemi, ma prima o poi bisognava tornare alla realtà. Cavolo, quanto odiavo la realtà. Avrei voluto darmi anche al sesso, ma come potevo? In quel posto, che era per lo più un buco, era praticamente impossibile e sinceramente non potevo portare una donna sconosciuta in casa.
C'era mia sorella.
Non potevo lasciarmi andare a tutto questo.
Nonostante camminassi al buio, non incontrai alcuna difficoltà a raggiungere il bagno, conoscevo ogni angolo di questa casa a memoria e poi ero abituato a rientrare sempre così tardi.
Mi veniva da vomitare. Una nausea fin troppo familiare.
Colpa di tutto quell'alcool che avevo ingerito. L'indomani mattina già immaginavo il solito risveglio orrendo, arcano.
Non provai minimamente ad accendere la luce del lampadario, mi accontentai di quella soffusa ai lati dello specchio sopra il lavandino. Se l'avessi fatto, l'emicrania mi avrebbe devastato.
Gettai dell'acqua gelida sul viso, per cercare di riprendermi...almeno un poco.
Era stato arduo raggiungere casa in moto. Più volte ero stato costretto a fermarmi sul ciglio della strada, perché colto da una sonnolenza improvvisa. Quante volte ero stato sul punto di addormentarmi? Troppe. E in tutte quelle volte non facevo che rimproverarmi e pensare a Silvia, la mia sorellina. Ero stato un incosciente! Prima di fare stupidaggini dovevo pensare a lei, che aveva tutte le priorità.
Poco dopo, intanto che continuavo a rimproverare me stesso qualcuno accese la luce del salone.
I miei occhi si chiusero di colpo, colti da un improvviso malessere. Riaprii le palpebre pian piano, per abituarmi alla luce e per cercare d' individuare chi fosse stato ad accenderla.
In un primo momento pensai alla baby sitter di mia sorella, e stavo giusto per dirgliene quattro, ma quando mi ritrovai Patrick faccia a faccia, ogni insulto perse valore.
" Sono le quattro di mattina, John. Dove sei stato? " chiese con tono di rimprovero, un cipiglio severo sul volto.
Scrutai i suoi occhi castano chiaro, i suoi capelli corti e brizzolati, pettinati all'indietro, il suo vestire classico, con il sigaro tra le dita per atteggio. Assomigliava così tanto a mio padre, anche nei modi, ma non poteva esserlo. Patrick era semplicemente il suo migliore amico, un fratello adottivo con il quale mio padre aveva trascorso la sua infanzia. Quest'uomo mi conosceva sin da quando ero nato, era come uno zio per me e da quando erano morti i miei genitori, un'ancora di salvezza per me e mia sorella.
Senza di lui...le cose sarebbero andate persino peggio di quanto già non fossero.
" Non ti riguarda." sbottai, nonostante meritasse gratitudine e rispetto. Non sopportavo chi voleva manipolare la mia vita, dirmi cosa dovevo o non dovevo fare. Ogni ragazzo la vedeva in questo modo.
Lui scosse la testa, sospirando: " Guarda come ti sei ridotto."
Una vertigine fu sul punto di farmi cadere, riuscii a reggermi in piedi poggiandomi ad una parete.
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L'amore nei tuoi occhi - Trilogy of forgiveness Vol.1
ChickLitAurora abita con due bizzarre, ma simpatiche, coinquiline all'ottavo piano in un condominio ormai in decadimento. Troppo presa dai suoi studi, non pensa minimamente a perdere tempo in feste universitarie, svariate uscite notturne e quanto altro, fig...