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Jonathan

Silvia era sparita, non riuscivo a trovarla.

Il cuore nel mio petto si stava sbriciolando, sgretolando, in mille pezzi, come fosse fatto di vetro. 

Dovevo trovarla, al più presto. Sarei impazzito se non l'avessi fatto, e non sarei mai riuscito a perdonarmelo, mai, se le fosse successo qualcosa!

Se Alberto avesse osato soltanto toccarle o sfiorarle un capello, uno solo, l'avrei ammazzato con le mie stesse mani, poteva giurarci. E non m'importava se sarei finito in carcere oppure no. 

Lui stava minacciando ciò che mi era di più caro, ciò che restava della mia famiglia, e non potevo starmene in disparte. 

I miei errori stavano distruggendo tutto ciò che avevo, pezzo per pezzo, ma Silvia non doveva rientrare in questa lista nera.  

Perlustrai ogni centimetro della Sala Centrale, salutando con falsi sorrisi e cenni del capo ogni persona che incontravo e che mi passava accanto per caso. Ignorai volutamente chiunque volesse intrattenersi con me, anche per pochi minuti. Non avevo tempo per parlare, né di affari e né di qualsiasi altra cosa, non in quel momento. No. 

Nulla era più importante di Silvia. 

E lei non c'era. Non c'era. 

Provai sul terrazzo, nei tanti innumerevoli bagni, corsi a perdifiato per i corridoi e gli uffici di ogni singolo piano di questa benedetta azienda, scegliendo appositamente le scale, e non uno dei tanti ascensori, per accedere al piano successivo, ogni singola volta.

Ma non la trovai. Non era da nessuna parte. Era come se fosse sparita nel nulla.

Scomparsa. No, no. NO!

Mi afferrai i capelli con entrambe le mani e cercai di non impazzire, imponendomi di respirare con calma. Ero in preda alla disperazione, sull'orlo di una crisi di nervi. Gli occhi diventati lucidi di rabbia oscuravano di tanto in tanto la mia vista.

Tirai su col naso.

Calma. Calma. Pensa. Calma e pensa, John. 

" Silvia." urlai con tutto il fiato che avevo. " Silvia, Silvia."

Mi si spezzò la voce. Per poco non mi strozzai, con la mia stessa saliva.

Nonostante fuori si gelasse, e stesse continuando a nevicare, controllai ogni balcone disponibile nella struttura, fino a scendere nei parcheggi sotterranei.

Tremavo per il freddo, ma non m'importava. Indossare un cappotto mi sarebbe solo stato d'intralcio.

Per quanto mi riguardava potevo anche morire assiderato, ma pretendevo di riavere al sicuro la mia sorellina. Adesso. 

Con il cuore a mille e lo stomaco chiuso in una morsa cercai di riprendere fiato per qualche secondo ancora una volta. Fiato che poi usciva condensato fra le mie labbra tremanti.
Poco dopo, decisi di avanzare sotto le luci al neon, schivando travi portanti contrassegnate con una lettera ed un numero specifico. Non erano altro che informazioni riguardanti il settore dei parcheggi, un metodo efficacie per ritrovare la propria auto parcheggiata qui sotto. 

Ogni tanto qualche luce sfavillava, ma non m'interessava. Perlustrando ogni angolo, scrutai all'interno di ogni auto parcheggiata, piazzando lo sguardo sui finestrini. 

Raramente io lasciavo la mia auto qui sotto, odiavo i garage sotterranei. 

I miei passi risuonavano su quel pavimento gelido ed in cemento, non c'era nessuno. 

Nessuno. 

Non volevo arrendermi, lei doveva essere qui. Per forza. 

Questa era la mia ultima possibilità, non avrei saputo dove altro cercare altrimenti. 

L'amore nei tuoi occhi - Trilogy of forgiveness Vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora