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Hope

Sin da piccoli sentiamo dire dagli adulti che errare è umano, che tutti possono sbagliare e che dobbiamo accettarlo. Tutti commettono degli errori ed è nostro compito, se non dovere, perdonare chi ha commesso uno sbaglio nei nostri confronti.

Così, ognuno di noi è cresciuto convinto che ogni sbaglio possa essere perdonato, prima o poi.

Ma chi è che decide se uno sbaglio è davvero uno sbaglio? Chi è ci dice ciò che è veramente giusto o sbagliato?

Lo decide il buon senso? La legge? Chi è nato prima di noi?

Chi è che ha il diritto di dirci che abbiamo sbagliato, quando tutti commettiamo degli errori?

Voglio dire, il buon senso è qualcosa di soggettivo, qualcosa che varia da persona a persona, chi è nato prima di noi è umano anche lui quindi non ha diritto di decidere e la legge poi, è dettata da uomini che sbagliano in continuazione.

Quindi chi è che decide?

Questa domanda probabilmente rimarrà senza risposta, come molte altre nella storia dell'umanità ma nessuno ci impedisce di porcele.

Sono ostacoli. Che poi riusciamo a superarli o meno, dipende solo da noi.

Io, personalmente, ritengo che gli ostacoli più difficili da superare, non vengano posti dagli altri ma, siano quelli che noi stessi mettiamo sulla nostra strada e che dipenda solo da noi la scelta di superarli.

**

<<Merda merda merda!>> imprecai ad alta voce mentre percorrevo velocemente le scale del mio palazzo urtando forse anche qualcuno.

Ero in un ritardo spaventoso. Erano le otto e mezza passate del mattino ed io avevo lezione esattamente alle nove. Con tutta probabilità sarei arrivata tardi all'Università ed il professore avrebbe deciso di non ammettermi. Quell'uomo ce l'aveva con me da anni ormai. Non capivo però se era per mio modo di vestire o il mio comportamento.

Non ero una studentessa modello, anzi, se dovevo essere sincera la voglia di andare a lezione quel giorno, era pari a zero, ma mio padre aveva deciso di controllare le mie assenze e, siccome erano già molte, non era il caso di saltarle. Ne avrebbero risentito le mie uscite serali.

Di corsa salii la scalinata che portava all'entrata dell'Università e con il fiatone arrivai nella hall. Non capivo che bisogno c'era di tutte quelle scale.

Fantastico, pensai una volta nell'edificio quando notai l'enorme orologio all'ingresso. Erano le nove e dieci. Neanche la metropolitana era riuscita a riparare al danno della sveglia.

Sospirai rassegnata al fatto che comunque sarebbe andata mi sarei beccata a prescindere una bella ramanzina.

Bussai piano alla porta dell'aula e dall'interno mi giunse la voce del professore, alquanto scocciato per l'interruzione.

<<Buongiorno signorina Reeves>> disse togliendosi gli occhiali minaccioso.
<<Buongiorno, mi scusi per il ritardo ma...>>.
<<La lezione è cominciata da dieci minuti, se ne rende conto?>> mi interruppe, ignorando le mie scuse.
<<Sì, ma non sono poi così in ritardo...>> sbuffai stanca.
<<Okay, allora mi sta dicendo che siccome non è "poi così in ritardo" io dovrei ammetterla? Si rende conto di che baraonda ci sarebbe se tutti facessero come lei? Se tutti entrassero e uscissero quando hanno voglia?!>>.
<<Senta, può essere chiaro? Mi ammette o no? Altrimenti me ne vado e non le faccio più perdere tempo!>> sbottai ad un certo punto. Non lo tolleravo più. Volevo vedere se in ritardo arrivava uno dei suoi preferiti.
<<Vada signorina Reeves, ci vediamo un altro giorno. Magari arrivi in orario>> mi consigliò con quell'aria da saccente mentre chiedevo la porta.

Sfinita già alle nove del mattino andai alle macchinette e presi un caffè. Non avevo neanche fatto colazione per arrivare in tempo a lezione.

Fatica sprecata, ecco che cos'era.

Studiavo qualcosa che odiavo in un'università che odiavo, con gente che non tolleravo. Dopo due anni di studi mio padre non aveva ancora capito che economia e marketing non faceva per me. Alfred Reeves non si capacitava del fatto che sua figlia non avesse le sue medesime passioni. La verità era, però, che io non avessi la benché minima idea di che cosa fare della mia vita, quindi mi ero accontentata.

L'unica cosa che mi piaceva era divertirmi ma non pagavano per quello quindi ero in un vicolo cieco.

<<Ehi guapa! Che fai nei corridoi tutta sola?>> disse una voce maschile a me molto famigliare.

Quando alzai lo sguardo mi trovai di fronte Miguel, un ragazzo che conoscevo fin dal liceo. Era uno dei ragazzi più belli e popolari alle superiori e lo era altrettanto anche all'Università, diciamo che aiutava anche il fatto che suo padre possedesse metà città. Alto, capelli scuri e occhi chiari, ricco e sudamericano, il ragazzo perfetto insomma.

<<Niente come al solito, Carter non mi ha ammesso a lezione>> alzai le spalle indifferente.
<<Sei arrivata tardi vero?>>.
<<Già>> feci un sorriso tirato.
<<Ehi senti io ho ora buca, ti va?>>.

Poi c'era anche quel piccolo particolare. Da qualche tempo a quella parte facevamo anche sesso. Niente di impegnativo, sia chiaro, solo sesso e conoscendo sia me che, in particolar modo lui, non c'era pericolo che nascesse nient'altro. Era quello che volgarlmente si definisce un bel visino e niente cervello.

Non ci riflettei molto. Mi ero svegliata di corsa, dovevo trovare un modo per passare il tempo e poi, era da troppo che non lo facevo.

<<Ci vediamo in bagno>> dissi alzandomi e dirigendomi verso il suddetto.

Non mi importava che gli altri mi definissero una troia. Mi piaceva divertirmi, ero uno spirito libero, come si suol dire e comunque fosse, non lo avevo mai negato. Ero il tipo di ragazza che ti diceva sempre le cose come stavano, se ti stava bene okay, altrimenti potevi anche andartene, inoltre non ero esattamente il genere di persona che si faceva mettere i piedi in testa tanto facilmente.

**

<<Che fai stasera?>> chiese Isabel, la mia migliore, se non unica, amica, quando uscimmo dall'Università.
<<C'è una festa a casa di un amico di Miguel. Pensavo di andarci>>.
<<L'hai visto ancora? Hope non ti offendere ma quel tipo non mi piace...>>.

Isabel era molto diversa da me. Lei era quella che si suole definire pura. Era una brava ragazza, studiosa e diligente. Ogni tanto mi chiedevo come fossimo diventate amiche.

<<Non me lo devo sposare Isa!>> sospirai ripetendole ciò che le dicevo sempre, <<comunque tu ci vieni o no?>>.
<<Domani ho lezione presto, non mi va di andare a dormire tardi>>.
<<Quindi mi abbandoni?>>.
<<Mi spiace...>> abbassò il capo desolata.
<<Tranquilla stavo scherzando! Ci andrò da sola tanto poi finiamo sempre ognuna per conto suo>> le feci l'occhiolino tutta sorridente.
<<Questo è vero>> scoppiò a ridere la ragazza, <<comunque lasciami fare le mie solite raccomandazioni>>.
<<Spara>> dissi reprimendo uno sbuffo. Me le faceva tutte le volte, come se io me le dimenticassi.
<<Non bere troppo, attenta a chi ti gira intorno, non dare confidenza agli sconosciuti e, soprattutto, stai lontana da Miguel>>.
<<Sto sempre attenta a chi mi gira intorno e a non dare confidenza agli sconosciuti, per le altre due non posso promettere>> dissi facendole l'occhiolino e dirigendomi verso la metropolitana.
<<Hope!>> cercò di chiamarmi ma inutilmente, stavo già scendendo.

<<Scusa>> disse qualcuno urtandomi leggermente mentre saliva le scale.
<<Niente>> risposi continuando per la mia strada.

Non vedevo l'ora di quella sera. Era da troppo che non mi divertivo.

Nonostante Tutto Io Ci SonoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora