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Christopher

Padre. Questa era la parola che mi venne in mente quando vidi il risultato del test.

Sulle istruzioni c'era scritto che, sull'apparecchio, doveva apparire un più, se fosse stato positivo e c'era.

Il mio cuore aveva smesso per una frazione di secondo di battere e non riuscivo a respirare.

Non potevo crederci.

Eravamo stati per interi minuti in silenzio a guardare ovunque tranne che l'uno verso l'altra. Quella situazione era irreale ma non ero riuscito a porvi fine, fino a quando non sentii il mio telefono squillare.

Senza indugiare troppo, così, andai a recuperarlo. Non volevo lasciarla sola ma non sarei stato, comunque, d'aiuto standole vicino.

Quando tornai in sala, dopo un'interessante conversazione con mia madre, della quale non avevo ascoltato nulla, trovai Hope rannicchiata sul divano, con la testa appoggiata allo schienale e la schiena al bracciolo. Abbracciava le sue gambe mentre con lo sguardo fissava un punto indefinito nella stanza.

Il test era abbandonato sul tavolino di fronte al divano, lontano da lei, come se non vedendolo, sarebbe stato meno reale.

Lentamente mi avvicinai a lei, sendendomi al suo fianco. Posai una mano su una sua gamba, per farle sentire che fossi lì e che potesse contare su me. Questo gesto, tuttavia, su di lei non ebbe l'effetto voluto perché allontanò di fretta la mano, come se scottasse, e chiuse gli occhi. Molto probabilmente per non scoppiare a piangere, sembrava aver la mania di volersi mostrare forte a tutti i costi.

<<Hope>> la chiamai ma lei non accennò ad aprire gli occhi, <<Hope, guardami>> continuai cercando di farla uscire dal guscio che si era costruita intorno a sé, in così poco tempo.
<<È meglio che vada>> esordì invece a testa bassa rimettendosi seduta composta.
<<No, adesso tu rimani qui. Non ti lascio andare in giro a quest'ora da sola>>.
<<Non sarebbe la prima volta, tranquillo. Non devi preoccuparti per me>> disse con tono calmo, senza ammettere il minimo tentennamento.

Così dicendo si alzò dal divano diretta verso la sua borsa.

Rimasi tutto il tempo a fissarla: mentre indossava il cappotto, mentre raccoglieva le sue cose. Non riuscivo in alcun modo a fermarla o cercare di convincerla. Ero come paralizzato.

Lei sarebbe stata la madre di mio figlio, continuavo a ripetermi.

Solo quando la vidi dirigersi alla porta, pronta ad andarsene, scattai in piedi.

<<Hope>> provai a chiamarla ma lei mi ignorò, come faceva da quando aveva visto il risultato del test, oltre che prima che la conoscessi.

Pensava forse che l'avrei lasciata sola? Non capivo se si rendesse conto che in quella storia fossimo coinvolti entrambi allo stesso modo.

<<Hope smettila>> la rimproverai prendendola per un braccio e obbligandola a voltarsi.
<<Ti ho già detto prima che non sei obbligato a prenderti le tue responsabilità. Ho commesso un errore e sono pronta a pagare>> affermò sicura senza però guardarmi negli occhi. Si vedeva lontano un miglio che avesse paura, ma la sua testa dura le impediva di ammetterlo. Insisteva nel mostrarsi forte e indifferente anche se non serviva o, almeno, non in quel momento.

<<Innanzi tutto abbiamo commesso un errore, insieme ti ricordo. In secondo luogo io non mi sento obbligato a starti vicino, io voglio farlo. Te l'ho promesso ed è mio dovere farlo>> cercai di essere il più convincente possibile, provando a farmi passare quella tremarella che avevo da quando avevo realizzato che sarei diventato padre.
<<Eri ubriaco non è stata colpa tua ma mia...>>.
<<Anche tu lo eri>> ribattei sicuro, interrompendola.
<<È diverso tu non...>>.
<<Non avevo mai fatto sesso? Sì, hai ragione ma non per questo sono esente dalle conseguenze>> volli precisare.
<<Te ne pentirai>> scosse la testa ancora non convinta.
<<Intanto lascia che ti accompagni a casa>> sorrisi cercando di smorzare la tensione e cambiare argomento.

Nonostante Tutto Io Ci SonoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora