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Pov. Joshua

Sentivo ancora il chiacchiericcio di mia madre giù nel salotto con mio padre. Sembrava che gli astri fossero tutti allineati per venirmi contro.

Era divenuta come il Monte Bianco, una salita sempre più difficile da scalare, mi sarei stancato ma sarei arrivato fino allo stremo.
Dovevo scrivere un'altra canzone se volevo tornare. Avevo parole e frasi impresse, mi nascevano così dal niente.

Presi di nuovo il foglio, ma mi sembrava una frase troppo spigolosa.
-Io sono un pazzo,forse anche un po' folle,scusa se a volte non trovo le parole,
Le cose in sospeso non mi sono mai piaciute,devo mettere fine alle mie paure,
Tante cose avrei da dirti,ma prima devo schiarirmi.
E dimmi che non cambierai mai,la stessa tu resterai,
Insieme con te io scapperei,da tutti i pensieri miei,
E scusa se con te sorrido,dell'altra gente io non mi fido.-

Era ciò che pensavo di Carlotta. Con lei sorridevo riuscivo ad essere il Joshua sincero, con tutte le sfaccettature del mio carattere. Positive o negative non avevo maschere che tenessero.
Così finii un'altra canzone. Un'altra dove lei era la mia musa.

Era passata una settimana, da quando era tornata da Chicago. Una settimana dove era sfuggente ai miei sguardi. Mi salutava a malapena quasi per cortesia. Nei corridoi per la scuola incrociavamo i nostri sguardi vicini ma distanti anni luce da quelli che scorrevano poco prima di quel giorno. Era scesa neve fredda su di noi, rimanendo sepolti in quel ghiaccio che quando svaniva restava una lastra dura.

Era difficile non poterle parlare, ma ogni volta che cercavo di placarla lei sviava. Fuggiva da me, da noi.
Ogni tanto mi affacciavo alla finestra, scostando la tendina e la vedevo con il suo sorriso luminoso su quelle labbra rosse di natura, mentre chiacchierava animatamente al telefono, e si annodava tra il dito i capelli lunghi che sembravano una cascata di seta lisci.

Non rivolgeva mai lo sguardo verso la mia finestra, sapeva e faceva di tutto per tenerlo davanti a se o seguire un percorso più semplice abbassandoli.
Michael ormai era una presenza costante con lei. La riaccompagnava molto spesso a casa ed anche Annalisa aveva avuto il piacere di conoscerlo solo perché una sera la riaccompagnò e si affacciò per vedere chi fosse che l'aveva riportata a casa.
Potevo sembrare ossessionato da lei, ma in realtà cercavo solo di vedere come se la cavava senza di me. E dire che stava bene era dire poco. Ma il suo sguardo celava molto di più, la conoscevo realmente io.

Il suo sorriso stirato e stropicciato, era sinonimo di una contentezza costretta. Cadeva in un'errore per non cedere ad un altro.

D'altronde anche io facevo così. Madison m'interessava, ma l'interesse poi infine cos'è?! In cosa sfocia?! Non lo sapevo. Avrebbero dovuto inventare un cazzo di dizionario sulle risposte. Perché ci poniamo continuamente domande, dove molto spesso non troviamo la soluzione.

A scuola ormai aveva fatto gruppo con Michael, David ed Amanda. Sembravano anche loro essersi legati in qualcosa di strano ed indefinito. Giurerei che i loro sguardi erano dolci. Molto spesso ci aggregavamo anche io e Madison e puntualmente ogni volta Carlotta salutava tutti e ritornava dentro. Dava un dolce bacio a Michael sulle labbra mentre la rabbia ribolliva dentro le vene, ma stringevo Madison a me. Comunque il suo sguardo non ricadeva verso le nostre mani, il suo sguardo prendeva direzioni diverse, tramutandosi in un oceano sconfinato dove non riuscivi a percepire la profondità.

La lezione del professore Dominic era divenuta noiosa e pesante.
Due ore spese a sentire cavolate sul romanticismo. Dove autori romantici non accettavano l'idea illuministica, poiché non davano ascolto alla ragione. Esploravano l'irrazionalità. Quel sentimento che tutt'oggi non sappiamo cosa voglia dire, e che ci porta a sognare a fare follie, solo spinti da un sentimento che va oltre le logiche della mente umana.

Uno Sbaglio DivertenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora