Guardo il mio riflesso allo specchio. Il camice inamidato che mi fascia il corpo. Fin da piccolina dicevo che da grande volessi fare la pediatra.
Il primo anno di superiori, la professoressa di lettere ci aveva chiesto che aspirazione avessimo per il futuro. Io avevo saputo, fin da sùbito, cosa rispondere e l'idea di raccontarlo mi allettava. Quando era arrivato il mio turno, avevo sorriso rispondendo. "Voglio fare la pediatra!"Lei era sembrata incuriosita e interessata a saperne di più. "Perché?" mi aveva domandato.
"Mi piacciono molto i bambini"avevo replicato.
Lei, non soddisfatta della mia risposta, si era sporta leggermente sulla cattedra, incrociando le braccia al petto.
"Perché non fai la maestra, allora?" mi aveva chiesto.
"Di solito, i bambini hanno paura del medico, la loro figura li spaventa. Io, che i bambini li amo tantissimo, voglio mettermi al loro livello, loro che riescono a capire a pelle, da un solo sguardo come sia fatta una persona. Voglio che ogni volta che mi guardino, capiscano che si possano fidare di me, che si sentano sicuri" le avevo risposto con fierezza.
Lei non aveva aggiunto altro, ma aveva ricambiato il mio sorriso.
Nel tempo, quella mia consapevolezza e passione si era rafforzata.
Mi guardo allo specchio e penso che sono riuscita nell'obiettivo che mi ero prefissata. All'università ti insegnano tante cose, ma è sul campo che riesci a dare il meglio di te, a scoprire le tue capacità e i punti deboli. Fin dai tempi del tirocinio avevo capito che non sarei mai riuscita a reagire con freddezza a qualsiasi cosa ti accadesse intorno, perché sono fatta così. Sono sensibile, emotiva ed empatica. Avevo capito che non potessi guardare una persona stare male senza fare nulla. Anche se non fossi riuscita a salvarla dalla sua malattia, le avrei donato un sorriso, un attimo di felicità.
Sono soddisfatta di quello che ho fatto per Lucia: donarle una giornata normale è stata una delle migliori scelte che io abbia mai fatto. Osservare la luce del suo sguardo, quella spensieratezza che, per una volta, ha invaso i suoi occhi. Andare al parco, mangiare un gelato, quelle che noi consideriamo azioni normali, talvolta banali, cambiano prospettiva quando ci troviamo difronte a persone che, per la malattia, non riescono a vivere la loro quotidianità.
Non avrei mai pensato che potessi considerare l'ospedale come una seconda casa, un posto che fa paura a tutti, ma che avevo riscoperto sotto un altro aspetto, anche grazie a Lucia. Lei non lo sa, ma mi sta dando tanto.
Esco dal bagno dell'ospedale e percorro il corridoio. Nel reparto pediatrico si respira armonia e una tale magia. Lo spirito del Natale è arrivato anche qui. Nell'aria risuonano le note di "Jingle Bells". L'arrivo del Natale cambia radicalmente l'atmosfera.
Raggiungo la sala comune dove i bambini si ritrovano per giocare tutti insieme, per seguire le lezioni, per vivere la quotidianità, per quanto sia possibile.
Un open space dai colori sgargianti e le pareti tappezzate di disegni. Una stanza a forma di bambino, con i tavolini e le sedie colorati in miniatura, i tappettini gommati che i piccoli si divertono a comporre e tanti, tanti giochi. C'è poi un lato della stanza con una grande bacheca dove sono custoditi i momenti più belli passati insieme.I bambini sono felici, oggi. Abbiamo pensato che fosse giusto vivessero la gioia e l'attesa del Natale e, dopo la giornata che avevamo passato con Lucia, l'iniziativa ci era sembrata ancora più giusta. Nel reparto pediatrico è giusto che si respiri un'aria familiare e serena. Oggi ci sono genitori, medici, infermieri, specializzandi, tutto il personale riunito qui per loro, e i bambini sono entusiasti, si divertono. La malattia, per un giorno, non esiste.
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Ricominciamo da qui (COMPLETA)
RomanceAnita, un metro e sessanta di dolcezza e allegria, è una specializzanda in pediatria. Adora il suo lavoro, sa che è quello che deve fare perché ci crede da sempre e, spinta dalla passione per questo lavoro, comincia a passare le sue giornate in ospe...