5. Anna

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«Hai visto le immagini che stanno facendo il giro del web?» mi chiede Giulia, mentre stiamo cenando a casa mia.
Scuoto la testa e ribatto: «Questo week end sono rimasta senza internet. Non che la cosa mi sia pesata, ho letto molto.»
«Come se non lo facessi già di norma. Se solo ogni tanto alzassi il naso dai tuoi libri» esclama lei, spezzando un pezzo di pane per fare la scarpetta. «Accidenti, com'è buono questo pesto! Tua madre è una cuoca fantastica. Non so come hai fatto a crescere con la sua cucina e a mantenerti così magra. A volte sento di odiarti, sai?»
Alzo le spalle. «Direi che tra le due rimani comunque quella che cucca di più.»
«Se solo ti decidessi a...»
«Lo so, leggere di meno e agire di più» completo la sua frase, che conosco a memoria per tutte le volte che me l'ha propinata.
Lei annuisce. «Avrei usato un altro verbo, ma ci hai preso. Ci sono un sacco di uomini carini là fuori.»
«A proposito, in questi giorni sei stata misteriosa. Si può sapere con chi sei andata via dalla festa?» le domando, deviando il suo discorso.
Lei arrossisce e abbassa lo sguardo con aria colpevole. «Nessuno che tu conosca.»
«Se lo dici tu» le concedo. Per ora.

Prende il cellulare dalla borsa e lo appoggia sul tavolo, in modo che io riesca a vedere bene quello che c'è sullo schermo. «Comunque pare che alla festa sia successo qualcosa di molto interessante, che ci siamo perse entrambe.»
Fa scorrere il dito sullo schermo e poi mi mostra una foto che rasenta l'osceno.
«Questo tipo ha un'aria familiare» commento, osservando un ragazzo dai capelli ricci e rossi con un'espressione sconvolta sul volto.
«Ovvio che ce l'ha. È Jack dei Crunchy Melodies. Frequentava il nostro stesso istituto superiore.»
«Ora ricordo. Mia sorella va matta per la loro musica e mi ha chiesto un milione di volte di accompagnarla a un loro concerto. Davvero frequentava la nostra scuola? È carino, l'avrei notato.» Sposto lo sguardo su ciò che si intravede dalla camicia bianca aperta. Un tatuaggio maori spicca sul pettorale muscoloso. Mica male.
«Hai sempre avuto occhi solo per Andrea a quei tempi» mi rimprovera Giulia, poi aggiunge: «Comunque Jack è cambiato molto da quando andavamo a scuola. Dire che è migliorato è un eufemismo» sospira soddisfatta ammirando il tipo in foto.
«Chi è la tizia inginocchiata?» domando. Si intravede poco, si capisce che ha i capelli biondi ed è vestita di scuro.
«Non si sa. Anche nell'altra foto si vede male.»
«Wow, avevano proprio fretta i due!» esclamo, di fronte all'altra immagine. «Sembra stiano per farlo lì, senza tanti preamboli.»
Le mani di lui che la tengono per la vita mi provocano un inspiegabile brivido. Troppo tempo senza un ragazzo comincia a farsi sentire. La mia ultima relazione risale a più di un anno fa e di sicuro l'intesa sessuale non era un granché.
«Comunque questo Jack è proprio un bel pezzo di ragazzo.»
«Già. È la prima volta che i paparazzi riescono a beccarlo in certi atteggiamenti, per questo sta facendo notizia. Che sia successo alla riunione degli ex alunni rende tutto più intrigante. Molto probabilmente la tipa è una della nostra scuola. Secondo me è la Barbie.»
«Chi? Jessica?» chiedo, accennando a una biondina, tinta, odiosa e con le tette rifatte. «Non vedi che la ragazza della foto non ha le sue forme?»
«In effetti è un po' spigolosa, come te.»
Sbuffo. «Grazie del complimento.»
Giulia mi guarda in modo strano e ipotizza: «E se fossi tu? Non me lo nasconderesti, vero?»
«Cosa vai a insinuare! Ho un buco su quella serata. Se avessi avuto una notte di passione con quel fusto, me lo ricorderei» ridacchio senza riuscire a impedirmi di fantasticare un po' su quelle mani che sembrano avere una presa forte e salda.
«Già. Chi potrebbe mai scordarlo?»
Le suona il cellulare e si rintana in bagno per rispondere senza che io non ascolti la conversazione.
Tutto questo mistero mi sta facendo insospettire, spero non si stia cacciando in qualche guaio.

Il mattino dopo vado in libreria a lavorare con il sorriso sulle labbra, come faccio da più di tre anni ormai.
Ricordo ancora come trovai il posto. Lavoravo in un ufficio qui vicino, ma era un contratto che presto sarebbe scaduto. Durante la pausa pranzo facevo sempre una passeggiata e non mancava mai una capatina alla Tana delle Storie.
Un pomeriggio mi trovai ad assistere a una scena per niente piacevole. Il proprietario stava licenziando l'allora aiutante perché aveva sottratto dei soldi dalla cassa. La cosa andava avanti da mesi, ma lui aveva avuto le prove solo in quel momento, beccandolo in flagrante.
Così, ancora prima che Ettore potesse mettersi a cercare un'altra persona, mi ero offerta e il resto si sa com'è andato.

Mentre sto sistemando dei libri nella sezione dei bambini, noto Ettore venirmi incontro con un foglio stampato a computer in mano.
«Anna, cosa ne dici, può andare?»
Leggo la scritta ad alta voce: «"La Tana delle Storie applicherà uno sconto su tutti i libri l'ultima settimana di ottobre e la prima di novembre, causa cessazione dell'attività." Allora è sicuro?»
Non può essere vero. Questa libreria è qui da più di quarant'anni, non deve sparire.
Abbasso lo sguardo e mormoro: «Credevo che ci fosse una soluzione.» Non abbiamo neppure tentato di mettere in piedi uno degli eventi che avevo pensato io, magari un semplice gruppo di lettura. Mi sarei offerta di lavorare qualche ora in più, senza venire pagata, per me non sarebbe stato un sacrificio troppo grande, se si fosse trattato di salvare l'attività.
Ettore sospira. «Purtroppo no. Dobbiamo chiudere entro breve, il compratore mi fa pressioni.»
Annuisco e sento gli occhi inumidirsi. Dove troverò un lavoro che amo come questo? Dove troverò un lavoro in generale, dati i tempi che corrono?
«Va bene. Il cartello, intendo» affermo sconsolata e continuo a mettere in ordine i libri per bambini.
Ettore si allontana e sento le lacrime salirmi agli occhi. Abito da sola in affitto e fino ad ora non avevo mai chiesto aiuto ai miei genitori. Certo, non vivevo nel lusso, ma riuscivo ad andare avanti. Quando avrò perso il lavoro alla libreria, non mi resterà che tornare a casa dai miei, se non troverò subito un altro impiego.
Tiro su col naso rumorosamente, poi sento delle persone avvicinarsi e cerco di darmi un contegno. Mi passo la mano sugli occhi e poi mi volto.
«Ciao!» saluto due piccoli gemelli che passano spesso in negozio con la loro mamma.
I bimbi mi sorridono e sventolano le manine.
«Eccovi qui, piccole pesti!» esclama la madre, un'affascinante morettina che deve avere circa la mia età. Ricordo ancora quando veniva qui a leggere, durante la gravidanza, e trascorreva delle ore sul soppalco, sprofondata in una delle poltrone a disposizione dei clienti.
«Buon pomeriggio» dico, sperando non si noti troppo che ho pianto.
«Ciao. Ho visto il cartello fuori» afferma, mentre con occhio vigile controlla i due gemelli, un maschietto e una femminuccia con capelli scuri come lei e occhi verdi.
«State davvero per chiudere?» Gli occhi azzurri della giovane donna sono colmi di dispiacere.
Annuisco e per poco non mi rimetto a piangere come una fontana. Anna la Frignona, era questo il mio nomignolo ai tempi della scuola.
«Come mai? La vostra libreria è stupenda, è un'attività storica della città, no?»
«Sì, ma gli affari vanno male.»
Sono sincera con lei, mi sembra una brava persona, oltre che una cliente affezionata, e mi viene naturale dirle come stanno realmente le cose.
«È un vero peccato. Non esistono più molte attività come questa. Le librerie indipendenti hanno un fascino diverso. Ognuna è unica nel suo genere. Quando ero incinta dei gemelli venivo sempre a leggere qui e mi sedevo là.»
Indica le poltrone del soppalco, con la vista sulla sala principale della libreria. «Finché ce l'ho fatta a salire le scale, intendo.» Ridacchia e io mi unisco a lei.
«Mi ricordo. Ho proposto a Ettore, il proprietario, di organizzare degli eventi, per farci pubblicità, ma anche per invitare qui qualcuno servono dei soldi e non è detto che la cosa funzioni. Pensavo anche a un gruppo di lettura, ma non so quanto possa venire apprezzato.» Sospiro, sconsolata. «Vorrà dire che un pezzo di storia di questa città se ne andrà e io mi ritroverò a venticinque anni di nuovo a vivere con i miei.» So di aver detto troppo, davanti a una quasi sconosciuta, ma spesso le parole mi escano di bocca prima che possa riflettere a sufficienza.
«Se volete organizzare un evento, posso chiedere a mio marito. Suona in un gruppo. So che non è esattamente qualcuno dell'ambito letterale, ma a breve uscirà la biografia della band.» Il suo sorriso è contagioso e mi convince all'istante.
«Sarebbe grandioso, ma...» Mi vergogno a chiederlo, eppure devo farlo: «Quanto è famoso il suo gruppo? Perché, come ti ho detto, non so quanto e se potremo pagarli.»
Lei liquida tutto con un gesto del braccio. «Credimi, non sarebbe la prima volta che non ricevono un compenso.»
In quel momento la bambina comincia a piangere e la madre la prende in braccio, provocando una scenata di gelosia nel fratellino. «Zoe, Leo, fate i bravi. Scusami, ma ora devo andare. I gemelli hanno bisogno di fare un bel riposino. Parlerò con mio marito della libreria, promesso!»
«Grazie, a presto» la saluto e la guardo uscire dalla pesante porta di legno, rendendomi conto che non le ho chiesto nemmeno il suo nome e quello del gruppo in cui suona il marito. Mi auguro che si faccia rivedere presto e con delle buone notizie.

***

Avete capito chi è la visitatrice della libreria? 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie a chi continua a seguire la storia, a presto!

Maria C Scribacchina

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