29. Anna

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Jack è partito da tre giorni e mi trovo sola in libreria, quando qualcuno lancia qualcosa sulla vetrina.

«Che cavolo...!» esclamo ed esco a controllare cosa sta succedendo.
«Brutta troia! Beccati questo!» Non vedo chi sta indirizzando la sua rabbia verso di me, sento solo qualcosa schiantarsi sulla mia testa e rompersi.
Un uovo, non ci sono dubbi. Per fortuna almeno non si tratta di un uovo marcio, dato che l'odore non è insopportabile, non che per questo sia una sensazione piacevole.
«Ti sta bene! Così impari a mettere le corna a Jack! Non lo meriti uno come lui. Tornatene da dove sei venuta, topo di biblioteca!» La persona che urla quella frase ha un cappello con la visiera e degli occhiali da sole, quindi mi risulta irriconoscibile. Non riesco nemmeno a distinguere se sia maschio o femmina, talmente sono sconvolta.
Rientro alla Tana delle Storie e una cliente mi chiede se c'è qualcosa che non va, poi nota l'intruglio che cola dai miei capelli e ammutolisce. Io non riesco a rispondere perché sono sotto shock per quello che è appena successo.
Io avrei messo le corna al batterista? Quando, di grazia?
In più mi trovo in uno stato pietoso, nel bel mezzo del pomeriggio. Non posso tenere aperta la libreria così, devo chiudere.
«Signora, mi dispiace ma devo chiederle di tornare un'altra volta» riesco a dire, con la voce tremante.
«Anna, cosa è successo?»
Ci mancava solo Ettore che torna a controllare la sua amata libreria dopo essere stato dimesso dall'ospedale e trova la vetrina in questo stato pietoso.
«Mi dispiace, non lo so.»
La cliente esce e ci lascia soli, per fortuna.
«Mi hanno lanciato delle uova, insinuando che io abbia tradito Jack. Non è vero!» sbotto.
Passo una mano tra i capelli e me la ritrovo impiastricciata di tuorlo e albume. Scoppio in un pianto a dirotto, sentendomi una stupida.
«Sarà colpa di qualche notizia che circola in giro. La gente dovrebbe imparare a farsi una vita!» Nonostante sia appena uscito dall'ospedale, Ettore si prodiga per consolarmi e farmi stare meglio.
Intanto il mio cellulare comincia a squillare, si tratta di Andrea.
Non ho voglia di rispondere in questo momento, vorrei solo andare a casa a farmi una doccia, così ignoro la chiamata.
«Su, prenditi il resto del pomeriggio libero, ci penso io qui.»
«Tu non stai ancora bene. Tornerò subito, appena mi sarò data una ripulita, posso mettere un cartello.»
Ettore scuote la testa, deciso. «Non se ne parla. Da domani torno anche io al lavoro, non voglio che si verifichino altri episodi del genere quando sei da sola.»
«Devi riposare, l'hanno detto i dottori.» Ettore starà pensando di aver commesso un errore scegliendo di lasciare la sua adorata libreria nelle mie mani e io mi sento talmente in colpa per quello che è successo.
«Non contraddirmi, bambina. Starò seduto e delegherò a te tutto il lavoro, però almeno ti farò compagnia.»
Sto per abbracciarlo, quando mi ricordo che non sono pulitissima al momento, così mi limito a rivolgergli un sorriso, meno convinto di quanto vorrei.
«Grazie, ci vediamo domani mattina.»
«Tranquilla, cerca di venire a capo di questa storia. Comunque sentirò i vigili, dato che hanno tirato oggetti contro una mia proprietà.»
«Mi dispiace davvero.» Sono mortificata e continuo a scusarmi, suonando patetica, però non voglio che la Tana delle Storie sia coinvolta in qualsiasi stupidaggine si siano inventati ora i media su di me e Jack.
«Non dirlo, non sei stata tu a lanciare quelle uova.»
Me ne vado con il cuore pesante, sperando che per questo pomeriggio i vandali non colpiscano di nuovo.
Durante il tragitto verso casa guido in maniera distratta, continuando a rimuginare su quello che è successo ed evito in extremis di tamponare un tizio davanti a me, frenando di colpo. Mi impongo di calmarmi e di concentrarmi sulla strada.

Una volta arrivata nella via dove abito, noto un'auto che non conosco parcheggiata davanti alla mia porta. Un uomo alto e ben vestito mi attende.
«Anna, eccoti finalmente. Non rispondevi al telefono e così sono venuto a vedere come stavi.» Andrea mi studia con gli occhi scuri pieni di preoccupazione.
Ricomincio a piangere e mi vergogno immensamente, perché mi sta vedendo in queste condizioni. Non è valso a niente cercare di mostrarmi più matura di fronte a lui, Anna la Frignona è sempre in agguato, pronta a scoppiare in lacrime per ogni minima cosa.
«Cosa è successo?»
«Qualcuno si è divertito a tirarmi delle uova addosso e non ne so il motivo» dico a fatica, con la voce rotta dal pianto.
«Credo di conoscerlo io.» Ha un'espressione contrita.
«Entra un attimo, se non ti dispiace aspettare mentre mi faccio una doccia» lo invito, senza riflettere. Non so nemmeno io quello che dico o faccio. Sento la mancanza di una presenza rassicurante in questo momento. La mia mente vola a Jack, lontano decine e decine di chilometri.
Andrea mi segue dentro casa, gli faccio cenno di accomodarsi in cucina, poi gli offro un caffè, che rifiuta.
Vado in bagno con dei vestiti puliti in mano, mi spoglio e m'infilo sotto l'acqua calda. Mi faccio lo shampoo tre volte, strofinando forte per far andare via i resti dell'uovo, la vergogna e il dispiacere per ciò che è successo. Dopo la doccia mi sento un po' meglio e torno da Andrea, che mi aspetta seduto al tavolo in cucina.
«Sicuro che non ti va un caffè?» gli domando, pensando che io ne avrei davvero bisogno.
«Se proprio insisti e mi fai compagnia, volentieri.»
Preparo la moka e la metto sul fuoco, poi mi rivolgo ad Andrea: «Allora, come mai dici di sapere il motivo per cui mi hanno presa di mira?»
Mi porge il suo cellulare. Io lo prendo e studio l'articolo del sito web che è visualizzato in questo momento.

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