23. Anna

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«Ettore!» strillo quando vedo la causa del perché la porta è rimasta aperta. Per terra c'è l'anziano proprietario della libreria, senza sensi.
Jack si precipita al mio fianco. «Chiamo subito un'ambulanza» afferma, con una calma che contrasta con il mio stato d'agitazione.
Sento le lacrime scorrermi sul viso, sono nel panico più totale e straparlo, preda di un senso di colpa bruciante.
«Non capisco come può essere successo questo. Non mi ero nemmeno accorta che non fosse in forma in questi giorni, avrei potuto fare qualcosa, raccomandargli di stare a casa a riposo...»
Mi zittisco quando Jack prende la linea con il pronto soccorso, spiega cosa è successo e fornisce le indicazioni per raggiungerci. Una coppia, che sta passando fuori dalla libreria, viene a vedere cosa stia accadendo e il ragazzo aiuta Jack a spostare Ettore all'interno del locale.
I momenti di attesa fino all'arrivo dell'ambulanza sembrano interminabili.
«Non morirà, vero?» domando, sentendomi una stupida, ma è più forte di me. Non riesco a starmene tranquilla come Jack.
«Andrà tutto bene, vedrai» mi rassicura, passandomi un braccio intorno alle spalle. Quel gesto riesce a tranquillizzarmi un pochino e mi appoggio a lui, fino all'arrivo dell'ambulanza.
Non lasciano salire nessuno di noi con Ettore perché non siamo dei parenti e ci chiedono se conosciamo qualcuno della famiglia.
«Che io sappia è da solo, non si è mai sposato» rispondo, cercando di ricordare se l'uomo mi abbia mai parlato di qualche parente vicino o lontano.
Quando l'ambulanza parte, mi accingo a chiudere la libreria.
«Dici che se vado al pronto soccorso e aspetto lì, mi diranno qualcosa?»
«Questo non lo so. Ti accompagno» propone Jack e si vede che la sua offerta è sincera, che ci tiene sul serio.
«Non avrei mai voluto che la nostra prima serata insieme dopo tanto tempo finisse così.» Gli prendo una mano. «Cosa stavi per dirmi prima?» Sono sicura che stesse per parlarmi di qualcosa di importante, dall'espressione sul suo volto.
Lui mi stringe forte la mano e se la posa su una guancia. «Stavo per dirti che mi sei mancata molto.»
Mi perdo nei suoi occhi azzurri e sinceri.
«Anche tu mi sei mancato.»
Accenna un sorriso, poi afferma, convinto: «Andiamo, magari riusciremo ad avere qualche notizia su Ettore.»
«Sì» rispondo e saliamo entrambi sulla mia auto.
Alla fine trascorriamo le prime ore della notte al pronto soccorso, su delle sedie scomode, in mezzo a bambini che piangono e anziani che si lamentano per il dolore o l'impazienza. A un certo punto un infermiere viene ad avvisarci che Ettore ha ripreso conoscenza, ma che lo tratterranno qualche giorno per fare degli accertamenti.
Io e Jack siamo mano nella mano quando varchiamo la soglia della camera dove lo hanno sistemato momentaneamente, in attesa che si liberi un posto nel reparto di medicina.
Ettore ci sorride, anche se ha un'aria sfinita. «Ecco qui i miei fidanzatini preferiti» mormora, con un filo di voce.
«Ci hai fatto prendere un bello spavento!» esclamo e poi scoppio a piangere. Di nuovo. È più forte di me.
«Oh, bambina mia, non fare così. Su, lasciati consolare un po'.»
Scoppio a ridere tra le lacrime, anche in un momento del genere l'uomo non ha perso il suo spirito. Si trova in un letto d'ospedale e pensa che sia io a dover essere consolata.
«Ti hanno detto cosa è successo, perché sei svenuto?» domando, pregando ardentemente che non si tratti di niente di grave.
«Solo un calo di pressione, tranquilla. La stanchezza e lo stress degli ultimi giorni e il fatto che io non sia più un giovincello...»
«Questi cosa sono?» esclamo all'improvviso, accorgendomi che dal camice che gli hanno dato in ospedale, sulle braccia si intravedono dei tatuaggi. Molti tatuaggi.
«Credo che abbiamo appena scoperto la seconda vita di Ettore» dice Jack, sorpreso quanto me.
«Quando te li sei fatti?»
«Vediamo... all'incirca una quarantina d'anni fa. Il tuo fidanzato non è l'unico musicista presente. Anche io suonavo in una rock band.»
La conversazione sta diventando sempre più incredibile. Il mio capo dalle sembianze di Gandalf il Bianco, con l'abbigliamento di Bilbo Baggins, è un ex rockettaro, chi l'avrebbe mai detto!
Un'infermiera entra nella camera, sentendo il baccano che stiamo facendo.
«Uno di voi è un parente o deve fermarsi per la notte?»
Guardo Ettore, non mi va di lasciarlo qui da solo.
«Sono dei miei cari amici, erano venuti a sapere come stavo.»
«Allora devo chiedervi di fare più silenzio e non trattenervi troppo, siamo fuori dall'orario di visita.»
Io e Jack annuiamo e l'infermiera esce.
«Cosa devo fare con la libreria?» domando a Ettore.
«Sono sicuro che da sola te la caverai egregiamente.»
«Tu non ti sentirai solo qui? Potrei accorciare l'orario e venire a farti compagnia.»
«Starò benissimo. È solo questione di giorni e tornerò al lavoro. Giacomo, posso chiederti un favore?
«Certo, mi dica.»
«Prima di tutto, dammi del tu. Seconda cosa, nel mio cappotto ci sono le chiavi di casa, potresti andare a recuperare il borsone che c'è in camera mia sotto al letto e portarmelo in mattinata? Lo tengo pronto per casi come questo. Mi dispiace disturbarti ma non ho nessun altro che possa farlo.»
«Certo, nessun problema» ribatte Jack. È davvero un bravo ragazzo, in quanti sarebbero stati così disponibili?
«Ti ringrazio, l'indirizzo te lo dirà Anna. E ora andatevene, è tardi e ho bisogno di dormire!» risponde Ettore e mi fa l'occhiolino. Gli rivolgo un largo sorriso, sono sollevata per il fatto che stia già meglio, qualche ora fa avevo pensato al peggio.

***

Spero che questo breve capitolo vi sia piaciuto. 

Grazie a chi continua a seguire la storia! 

Alla prossima,

Maria C Scribacchina

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