Ritorno a Walnut

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Gwen
Sentendo la macchina fermarsi mi alzo dallo stato di dormiveglia e mi guardo attorno con occhi assonati stropicciandoli per fare più chiarezza dei miei dintorni. Il sole che illumina i tetti delle case, scalda l'aria di questi primi giorni di settembre, ma non riesce a scaldare il mio cuore intorpidito dall'ultima mazzata presa.
Prendo un profondo respiro e mi preparo mentalmente per un'altra separazione con in mente il viso sorridente di mia sorella.
Una marea di emozioni potenti e contraddittorie continuano a susseguirsi dentro di me. Tristezza...paura...abbandono...rimpianti...rabbia...
Avevo chiuso il dolore in un angolo buio del mio cervello, incapace di riconoscerlo, e invece sembra che si sia aperto come un sorgente, sommergendomi di sentimenti così intensi che mi sembra di annegare in essi. Per tutta la strada non ho fatto altro che pensare a quanto avrei voluto essere arrivata prima. Portarla via con me. Adesso sarebbe ancora viva. Avrei potuto toccarla, abbracciarla e sentire le storie strampalate che sicuramente aveva da raccontarmi. E sapere che potevo fare qualcosa per evitare la sua morte, mi uccide dentro. Mi uccide due volte!

È tutta colpa mia.

E invece io sono ancora qui, viva. A respirare il profumo dei fiori selvatici, mentre lei è a due metri sotto terra. Sono qui a godermi i raggi del sole, mentre lei si trova nel buio con solo gli insetti che le fanno compagnia. Mi sarei sostituita a lei ad occhi chiusi. E questa cosa non riesco ad accettarla. Proprio non ci riesco. Come posso accettare che non potrò mai più vederla? Questi cinque anni sono stati i più brutti della mia vita, ma mai come il giorno in cui ho saputo che lei era morta. Perché in tutto questo tempo, ciò che mi faceva stringere i denti e andare avanti era la possibilità di riunirmi con mia sorella. E cazzo, no! Non accetto che Dio mi abbia dato un'altra pugnalata. Più dura delle altre. Più crudele.
Sento il cuore aprirsi ad ogni doloroso respiro, come se fossi su una tavola operatoria e qualcuno mi stesse tagliando il petto senza anestesia. E sono incazzata con il Dio bastardo perché l'ha portata via da me... perché si è dimenticato della mia esistenza.

Mi chiedo se si è riunita con mamma e papà? Chissà se festeggeranno il suo compleanno tra pochi giorni. Che cosa si regala ad un angelo?
Io le avrei regalato le scarpe da punta. A lei piaceva tanto la danza.
Chissà se adesso balla sulle nuvole... Chissà se canta sotto la pioggia a squarciagola. Le piaceva tanto la pioggia...
Sono invidiosa, perché loro stanno tutti insieme mentre io sto qui ad aspettare il giorno in cui mi riunirò a loro. Ho un cratere al posto del cuore che nessuno mai potrà riempire...

"- Hey stai bene?" La voce di Tyler mi desta bruscamente dai pensieri e quasi sussulto per lo spavento. Mette una mano sulla mia spalla per girarmi verso di lui ed io asciugo velocemente una lacrima che era riuscita ad arrivare fino al mento. Annuisco, incapace di tirare fuori la voce e nascondo il viso tra i capelli. Non sembra molto convinto della risposta dal modo in cui mi sta guardando.
Sto bene Tyler. Starò bene, perché non ho altra scelta.

Nonostante il senso di irrequietezza riesco comunque a mettere su un flebile sorriso per mascherare tutto quel subbuglio di emozioni che minacciano di uscire e riversarsi sulle guance.
"- Siamo arrivati?" Chiedo guardandomi attorno un po' spaesata.
Dopo una veloce perlustrazione del posto, capisco che siamo proprio davanti alla casa di Ron.
Riconosco la strada verdeggiante e la casa bianca con le tegole grigie.
La moto di Ron è parcheggiata proprio davanti alla piazzola di piastrelle davanti casa. Sono contenta perché così lo posso salutare.
Tutto sembra essere al suo posto. La bici verde abbandonata da chissà chi appoggiata al tronco di un quercia, i bambini che tutti i giorni giocano nella casa di fronte, il giardino di rose curato da non so chi dato che non ho mai visto la nonna di Ron venire ad occuparsene. E anche gli uccelli che non sono ancora migrati in altre destinazioni più calde.
Una strana sensazione inizia a scaldare la sua strada verso il cuore. Mi sembra di tornare a casa, ma casa è un concetto così estraneo ultimamente per me che mi sembra di essere tornata indietro nel tempo. A quando ero ancora spensierata e credevo che il problema più grande era non avere amici.
"- Sì" risponde dopo qualche secondo. Quasi me ne ero dimenticata della domanda. Boccheggia per qualche secondo come se volesse aggiungere altro, ma poi ci ripensa e gira la testa dall'altra parte. Questo suo atteggiamento mi lascia un po' perplessa, ma non me ne curo molto.
"- Entro a salutare Ron" dico aprendo lo sportello e correndo verso l'entrata. Un po' perché voglio allontanarmi da lui e un po' perché Ron mi è stranamente mancato. Ho bisogno di sentire la sua risata.

Guidami all'inferno (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora