35. Control

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fino a farci a pezzi
senza lasciare nulla da guarire.


La mia testa scivolò giù per la corteccia ruvida fino ad affossarsi sulla terra umida. Qualcuno mi trascinò per i piedi, fino a farmi sdraiare supina. Sentii una mano sfiorare la mia, mi strappò dalle dita la scatoletta di metallo con dentro il Thanatex

Spalancai gli occhi e ispirai aria con violenza.

Ero schiacciata al suolo. Greg seduto a cavalcioni su di me, una nota di preoccupazione e urgenza negli occhi neri. Quei pochi raggi lunari che filtravano dalla cima del bosco si riflettevano su di essi, come specchi di ossidiana. Malvagi e familiari al tempo stesso.

Gli ringhiai in faccia, dimenandomi per liberarmi dalla sua presa. Una furia cieca m'incendiava, volevo ferire, distruggere, uccidere.

Greg mi prese il volto tra le mani, tenendomi ferma a terra. Con il pollice asciugò un rivolo di sangue che mi era sfuggito dalle narici, dipingendomi la bocca di vermiglio.

«Quanto ne hai preso?» sibilò scrutandomi dritto negli occhi, bui quanto i suoi.

Gridai rabbiosa e lo colpii alla tempia con una gomitata. Rotolai su un fianco e mi lanciai di nuovo su di lui. Gli tirai un pugno sullo zigomo e uno sul costato, prima che mi intrappolasse le mani tra le sue e, con un colpo di reni, ribaltasse la posizione.

«Fermati, cazzo» grugnì.

«No!»

D'un tratto la sentii.

Mi scorreva nel sangue, sulla pelle, come un brivido. Era mia, solo mia. Ed era potentissima. La punta delle dita mi pizzicò, come scossa da piccole scintille di elettricità. Mi montava dentro, dal centro del petto, come una fissione nucleare al centro di una stella. Uno scontro imminente tra atomi che non potevo fermare.

Amore e odio che si fondevano insieme, si disintegravano, annullandosi tra loro.

Gridai e scagliai tutta quell'energia verso Greg.

Il mio aguzzino, amante, amico, fece un volo di un paio di metri fino a schiantarsi contro un albero. Cadde a terra, lasciando una crepa profonda nel legno, lui invece rimase incolume. Alzò lo sguardo a fissarmi con astio.

«Basta, Dori» sibilò. «Facciamola finita. Torna a casa da me.»

Vedevo tutto con estrema chiarezza, sentivo ogni cosa con lucidità. Ma ero un motore alimentato a rabbia sul punto di esplodere.

Le mie labbra si squarciarono in una smorfia di disgusto. «Quella. Non. È. Casa. Mia.» Scandii ogni parola, il respiro affannato per aver usato tutta la mia forza e per il Thanatex che mi accelerava i battiti. O forse era qualcos'altro.

Rabbia, affetto e dolore si mescolavano insieme. I ricordi m'investivano a ondate, così violenti che non ero in grado di registrarli, di gestirli. Ora sapevo cosa mi legasse tanto a lui. Sapevo che nonostante tutto il male che mi aveva fatto, avrei continuato a volergli bene. Ci eravamo salvati a vicenda, la morte ci aveva legati insieme in un nodo così stretto che non sarebbe bastata una vita intera di abusi a spezzarlo.

L'avevo ripescato dall'abisso. Avevo oltrepassato universi e realtà estranee per riportarlo da me, quello che ci legava era oscuro e malato e non poteva essere spiegato. Non mi aveva rapita e uccisa per semplice sadismo, non solo per soddisfare un suo capriccio di possedermi, lo aveva fatto anche per farmi ricordare. Per restituirmi i miei poteri e ricordarmi chi fosse il vero nemico.

Ricordarmi che non ero, né lo sarei mai stata, una ragazza normale.

Ci avevano fatti a pezzi, dissezionati, uccisi e rimessi insieme così tante volte che non lo sapevo più cosa volesse dire essere vivi. Le ferite che ci avevano procurato erano cicatrici che ci sfiguravano dall'interno. Non saremmo mai stati normali, la nostra innocenza ci era stata strappata di dosso prima che imparassimo a parlare.

APOKALYPSIS [Thanatos Trilogy Vol. 1&2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora