29. Last Resort

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Con le mani legate
dietro la schiena,


Uscimmo dalla strada statale e imboccammo una serie di stradine di campagna ancora più deserte e buie, attraversando campi e boschi fino ad arrivare davanti a una piccola cascina. L'edificio si stagliava contro la notte come un'ombra minacciosa, le uniche luci quelle delle stelle e lo spicchio di luna crescente che sputava argento sulle cime degli alberi. Il giardino era così incolto da non riuscire quasi a distinguerne la differenza dalla boscaglia, mentre l'altro lato della valle era una giungla di ulivi e alberi di agrumi, forse limoni e mandarini.

Una volta spento il motore, il silenzio era così denso da farci trattenere il fiato. Ci circondava come un oceano denso e opprimente, gravava sul mio petto comprimendomi il cuore e dilatando la mia ansia. La sentivo scorrermi sotto la pelle come un parassita affamato, bramoso di piantarmi i denti nella carne e succhiarmi ogni energia.

L'orologio sul cruscotto segnava le tre passate del mattino. Era l'ora delle streghe e ci trovavamo in mezzo al nulla, davanti a una casa probabilmente infestata, inseguiti da un assassino psicopatico.

Io non ci volevo finire nella trama di un film dell'orrore.

Cicale e grilli frinivano in lontananza, il passaggio improvviso di un pipistrello, che sbatté le ali sopra le nostre teste con uno squittio acuto, ci fece trasalire per lo spavento.

Eravamo tutti un groviglio di nervi scoperti e alta tensione.

«Questa era la vecchia casa di campagna dei miei nonni» dichiarò Carlo, rompendo la bolla di silenzio intorno a noi. Mi concessi un piccolo sospiro e lui continuò: «Quando mia nonna è rimasta da vedova, si è trasferita in città e qui non c'è quasi mai nessuno. Ogni tanto vengono i miei zii a sistemare il terreno, raccogliere olive e limoni. Dovremo andare in città a prendere qualche rifornimento, ma per il resto ci sono posti per dormire, coperte e acqua... spero.»

Alzai un sopracciglio. «Speri?»

Mi fece una smorfia in risposta. «Se ci va di lusso, c'è anche corrente elettrica.»

Miriam aprì di scatto la portiera, facendoci sussultare tutti, e scese dalla macchina. «Per ora pensiamo a riposarci, domattina capiremo cosa fare.»

Carlo mi lanciò un'occhiata preoccupata e la seguì fuori dall'auto. Scesi anch'io, piombando nell'oscurità della notte, avvolta dal canto insonne dei grilli e una brezza fredda che odorava di campagna. Rabbrividii.

Avanzammo sul sentiero di ghiaia fino a raggiungere la faccia fatiscente dell'edificio. Le mura a vista erano scolorite dal sole e al tetto sembrava mancare qualche tegola qua e là, come se nessuno si fosse preso la briga di aggiustarlo dopo il passaggio di un violento temporale. A lato della struttura c'era un piccolo cimitero di vecchi mobili, cataste di legno e piastrelle rotte, che gettavano di ombre spettrali sulla fiancata. Sembrava davvero una casa stregata.

«Io dormo in macchina mi sa» mormorò Milo, la voce un po' tremolante.

Carlo fece un lungo sospiro, come a farsi coraggio, e avanzò verso la pesante porta d'ingresso. «Forza, entriamo. Non c'è niente di cui preoccuparsi, forse qualche ratto o scarafaggio.»

Milo si lasciò scappare un lamento strozzato. «Non mi piacciono i ratti.»

L'aria intorno a noi era pesante e spettrale, lasciava sulla pelle una scia di inquietudine come un velo di sudore freddo.

O forse ero io a indossare ormai la paura come un mantello.

Il mio respiro si faceva affannato ad ogni passo, le mani tremavano leggermente. Poi sentii le dita calde di Carlo scivolarmi sul palmo, incastrarsi con le mie. Le strinse forte tra le sue, come aveva fatto davanti al mio aguzzino, e la tensione si calmò. Mi voltai a guardarlo e i suoi occhi cioccolato sembravano promettermi sicurezza e protezione. Due cose che nessuno di noi possedeva, ma di cui eravamo disperati.

APOKALYPSIS [Thanatos Trilogy Vol. 1&2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora