Giorno 1
10 OttobreMAIA
Ci sono momenti nella vita che nessuno vorrebbe mai vivere, seppur cosciente del fatto che potrebbero accadere, magari pure in poco tempo.
Nell'elenco infinito di tutte le cose che questa vita ci regala e che puntualmente abbiamo paura di vivere troviamo la perdita di un fratello, di un amico, di un amante. Troviamo tutti quei momenti che ci portano la vergogna, la paura e la delusione.
Di una cosa ero sicura: quella verso mio fratello era delusione, la delusione più pulita, lineare e assassina che esista, e guardarlo dietro le sbarre non mi aveva mai fatto così male come quel giorno.
La macchina di mia madre aveva deciso che non sarebbe partita così fui costretta a prendere il pullman fino al commissariato per poi farmi il resto della strada a piedi.
Il cielo stava diventando tutto grigio, ma non di quel grigio che macchia il cielo in autunno e che non porta altro se non freddo e malinconia, era quel grigio scuro che porta solo temporali.
Avrei preso dell'acqua, ne ero praticamente sicura, ma il carcere permetteva le visite solo il sabato e la domenica, a meno che non ne venisse richiesta una dal carcerato, e mio fratello non era di certo uno di quelli che ammette di aver bisogno di qualcuno, nemmeno nei momenti peggiori.
Quei tre euro e cinquanta per pagare il biglietto del pullman mi fecero salire un groppo in gola, mi sembrava una ladrata.
Con un padre scappato di casa solo due mesi prima, una madre che faceva le pulizie nel condominio di fronte al nostro e un fratello rinchiuso in carcere da quasi quattro mesi, non ce la passavamo bene.
Io ero stata costretta a lasciare gli studi, ero riuscita a malapena a finire il liceo seppure facendo decisamente troppe assenze, ma passando comunque con il massimo dei voti. Era logico che l'università sarebbe rimasto il mio sogno proibito, i soldi non c'erano e nemmeno il tempo: bisognava lavorare, ogni giorno, fino a che i piedi non facevano male, la schiena cedeva e il collo non si muoveva più.
Quei tre euro e cinquanta, per me, valevano l'ira di Dio.
Pensai a mio padre, che era fuggito perché lui con 1000 euro al mese non ci voleva vivere, voleva passare le giornate a bordo piscina, a bere rum e whiskey. Ma quella non era la realtà e invece di aiutarci e amarci, aveva scelto di andarsene e cercare la fortuna da qualche altra parte e per quanto mi riguardava poteva anche morire ovunque fosse. Ci aveva abbandonato senza nessun biglietto, nessuna telefonata, niente di niente.
Non c'era tempo per i rancori, il tempo serviva a fare soldi.
Abbassai lo sguardo sulla strada sterrata che portava dal commissariato al carcere, circondato da campi di grano e girasoli, le mie Superga bianche si sporcavano ad ogni passo e il vestitino estivo con dei motivi floreali svolazzava mosso dal vento.
Mi strinsi nel giacchetto di jeans cercando in qualche modo di scaldarmi, senza però riuscirci. I soldi per comprare nuovi vestiti per l'inverno non c'erano e mia mamma avrebbe preso lo stipendio a fine mese, ciò voleva dire che fino a novembre avrei dovuto indossare vestiti estivi.
Il grande cancello si aprì, sollevando la terra dorata e lasciandomi entrare nella struttura di cemento armato. Mi avviai sorridendo verso il bancone dietro cui sedeva un'agente in divisa.
«Sono venuta per vedere Tommaso Elmi»
Strinsi la borsa vicino al mio petto quando un gruppo di detenuti mi passò accanto e sentii il loro sguardo sul mio corpo, rabbrividii e cercai in qualche modo di tirarmi giù il vestito, anche se non ce n'era bisogno. Istintivamente mi girai dalla parte opposta per evitare il contatto visivo ma in qualche modo, con la coda dell'occhio, lo vidi.

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ADESSO CHE NON CI SEI
Romance(IN CORSO) Maia ha diciannove anni ed è irreparabilmente infelice, non accetta niente della vita in cui è rinchiusa e, come spesso accade ai giovani, ogni occasione è buona per criticare tutto ciò che non va, ignorando l'esistenza del lato positivo...