Giorno 57
11 DicembreMAIA
Successe tutto velocemente, bastarono due giorni a far crollare il castello di sabbia che, timidamente, si era costruito dopo il risveglio di Sara. Non avevamo fatto in tempo a capire realmente il suo stato d'animo, quanto i suoi occhi nascondessero un malessere pronto a scoppiare, un senso di smarrimento destinato a crescere e soffocarla come edera su un forte albero.
Sara non stava più bene. Parlava, ma non stava più bene.
Le infermiere dicevano che passava ore a fissare il muro bianco di fronte a lei senza dire niente, tutto quello che le dicevano le scivolava addosso, come le lacrime che di tanto in tanto macchiavano le lenzuola e la federa del cuscino.
Da un giorno all'altro era piombata in un baratro, uno di quelli neri e freddi in cui ti trovi da solo a combattere con i tuoi demoni.
Non ci arrendemmo. Andavo io da sola, andava Mex da solo e andavamo pure insieme, ma lei non reagiva, non reagiva quasi mai. Era diventata una specie di automa, un essere vivo ma completamente inanimato. Non un gesto inutile, non un'occhiata diversa da quella di un malato terminale.
Che poi, lei, diceva un sacco di cose, teneva la parte alla perfezione. Ma lo vedevamo che erano tutte cazzate, lo vedevamo che soffriva, che non ce la faceva quasi più.
Quando eravamo da sole le parlavo della mia giornata, del fatto che dopotutto lei mi stava pure simpatica, anche se il nostro primo incontro non era stato dei migliori, poi mi lamentavo del lavoro e di mio fratello.
Lei mi guardava, a tratti sorridente ma con gli occhi sempre spenti. La vita le scivolava addosso, scorreva come un film di fronte ai suoi occhi spenti. Tutto ciò che era capace di fare era mimetizzarsi nell'ambiente, tenere la parte alla perfezione fingendo di essere partecipe sorridendo e annuendo come un automa.Quando capii una delle cause del suo malessere era l'alba e io me ne stavo sdraiata sul letto con gli occhi spalancati nel buio. Mi alzai velocemente e indossai le prime cose che trovai sulla scrivania per poi uscire di casa quasi di corsa.
Sapevo che non sarebbe bastata una chiacchierata, che ci sarebbe voluto del tempo, ma ero pronta. Sapevo come aiutarla.
Mi presentai davanti alla sua camera con il fiatone e mi appoggiai allo stipite della porta mente lei mi guardava stranita.
«Sono le 5.30 Maia, stai bene?»
«Benissimo, devo solo parlarti, non riuscivo a dormire» balbettai senza fiato.
«Posso vederle?» sussurrai una volta seduta alla fine del letto.
«Cosa?»
«Le cicatrici»
Distolse lo sguardo con un'espressione accigliata.
«Non mi va»
«Ci ho messo tanto, Sara. Ci ho messo tanto a capire cos'era che non andava, ho passato la notte a pensarci e poi ho capito che il tuo problema lo porto anche io sulla pelle»
Ripresi «Ho capito perché hai coperto lo specchio sull'anta dell'armadio e un po' mi dispiace di esserci arrivata solo adesso, perché non ce l'hai detto?»
«Ma che vi dovevo dire? Che faccio schifo? Che sono piena di cicatrici?»
Si tirò su la manica della larga maglia nera a maniche lunghe che probabilmente apparteneva a Mex e mi mostrò il grande segno sull'avambraccio.
La cicatrice che ricopriva una buona parte dell'avambraccio mi ricordò la superficie lunare: irregolare, come corrosa.
Le linee più spesse si intrecciavano con quelle più fini formando un reticolato scomposto cosparso di avvallamenti simili a crateri spenti, laghi fra le montagne.

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ADESSO CHE NON CI SEI
Storie d'amore(IN CORSO) Maia ha diciannove anni ed è irreparabilmente infelice, non accetta niente della vita in cui è rinchiusa e, come spesso accade ai giovani, ogni occasione è buona per criticare tutto ciò che non va, ignorando l'esistenza del lato positivo...