Quindici

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Giorno 30
13 Novembre (parte 1)

ALEC

Mi svegliai di soprassalto quando un cellulare, in salotto, cominciò a suonare. A tastoni cercai la sveglia sul comodino. Le 04:30.
Scansai le coperte di lato e mi diressi verso la porta per accendere la luce. Afferrai poi una maglietta e andai in salotto, dove il cellulare non aveva smesso di suonare nemmeno per un secondo.
Risposi, senza preoccuparmi di guardare il numero lampeggiante sullo schermo o del fatto che quello non era il mio cellulare.

«Pronto?» sussurrai. La voce ancora impastata dal sonno.

Dopo qualche secondo di silenzio qualcuno, dall'altro capo del telefono, sospirò piano. Poteva essere chiunque.

«Pronto? Chi è?» ripetei.

«A-Alec?»

«Chi parla?»

«Sono Nicole, Alec»

Spalancai leggermente gli occhi e mi trattenni dallo sbuffare, mi passai una mano dietro al collo e rimasi in silenzio. Non era previsto. Non era previsto che chiamasse proprio lei. Potevano essere i carabinieri, la polizia, o addirittura i miei genitori, ma non lei.

Merda anche tu no, non potresti rispettare la legge delle ex e attaccare?

«Alec ho bisogno di parlare con Sara, è lì con te vero?»

«No, ha lasciato il cellulare da me ma non so dove sia» mentii con tono sicuro.

«Dai smettila Alec, so che è con te. Lo sappiamo tutti» iniziai ad innervosirmi.

«Nicole, ti do due minuti, dimmi che vuoi o attacco»

La sentii sbuffare ma non tardò a rispondere.

«Sai come finirà questa storia, ho bisogno che Sara torni. Vogliono farvi fuori entrambi Alec»

«Non è niente di nuovo, ce lo aspettavamo e va bene così, lasciateci in pace e basta»

«Alec?» chiese esitante. Il tono di voce diventato come quello di anni prima, quando voleva convincermi a fare qualcosa, quando ancora cedevo senza troppe domande.

«Cos'altro c'è?»

«Quando torni? Manchi a tutti, anche a me»

Iniziai a muovermi per il salotto, incapace di fermarmi e riflettere.

«Ascolta, sono passati quasi sette anni, tante cose sono cambiate, fattene una ragione»

«C'è un'altra?»

Ripensai alle guance rosse di Maia, i suoi capelli che sapevano sempre di mela, alle sue labbra, alle sue mani morbide, alla sua sciarpa rossa e al suo lungo cappotto marrone.

«No, non c'è nessun'altra. Ma non è questo il punto, lo sai e sono stanco di ripeterlo» tagliai corto.

«E allora buonanotte, Alec»

«Buonanotte»

Gettai il telefono sul divano e mi passai una mano sul viso per poi tornare in camera, indossare un paio di pantaloncini ed uscire di fretta.

Correre non mi era mai piaciuto ma era l'unico modo legale che conoscevo per sfogare la rabbia e la frustrazione. Passo dopo passo ripercorsi la solita strada; passai di fronte allo stadio, al supermercato, al negozio di tatuaggi, agli alberghi e al parco, finché non mi fermai respirando a fatica.

Fra i grandi e rumorosi respiri mi accorsi, in un brevissimo istante, in quanta merda ero messo e in quanta merda avevo messo anche Sara e i suoi amici.

ADESSO CHE NON CI SEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora