Giorno 112
4 febbraioMAIA
Sofia se ne andò con l'inizio del carnevale. Vento freddo fra i coriandoli.
Non fummo così fortunati da vederla sfiorire né assistemmo al suo funerale. Il tempo che a lei era stato tolto continuava a scorrere su di noi e così scoprimmo troppo tardi della sua morte.
Fu una brutta sorpresa che ci colse impreparati all'uscita dall'ospedale, dopo una delle ultime visite di Mex. Il manifesto funebre se ne stava appiccicato ad un pannello di metallo insieme ad altri sei, forse sette nomi. Non li contammo perché ogni parola, ormai, era "Sofia". Stava nei nomi degli altri defunti, nelle date di morte, nelle parole di condoglianze, nelle firme dei parenti, nelle linee scure con motivi floreali che incorniciavano i manifesti.
Poi stette sui muri, negli incroci, nei semafori rossi, nei vasi e sui balconi, nei parcheggi e sui volti sconosciuti dei nuovi turisti.Sofia si appiccicò sui miei occhi e nella mia testa per ore, forse giorni, forse intere notti, riprendendosi, in qualche modo, quel tempo che non poteva più avere.
La lasciai fare, la feci vivere fra le mie giornate tenendo acceso il suo ricordo, sperando che questo colmasse anche il vuoto di non essere riuscita a salutarla in tempo.
Mi piaceva pensare che il nome Sofia fosse stato un segno del destino; quel nome le stava a pennello. Perché Sofia era una bambina sveglia, più intelligente degli altri bambini, e forse la nostra storia la conosceva già, forse se l'era sognata o l'aveva vissuta in qualche vita precedente, al posto mio.
Sofia era conoscenza, saggezza, sapienza.Sembrava essere arrivata per noi, per riportarci a vivere, a viverci. Aveva preso me ed Alec per mano e ci aveva fatto scontrare come personaggi di un gioco di bambole. E poi se n'era andata, in silenzio, come era arrivata.
Sofia se ne andò e Mex fu quello a portarne il dolore più infame. Il rimorso. Il rimorso di non averle sorriso subito, di non averla considerata subito all'altezza della sua vita fuori dal comune, di non aver saputo come comportarsi per farla sorridere volontariamente o di non averla desiderata all'interno di una sua giornata.
Sentiva che l'affetto che in lui era nato per arrivare a Sofia non aveva mai avuto il coraggio di partire, s'era nascosto dietro all'orgoglio e all'apparenza che con le loro spalle grosse lo avevano coperto quasi alla perfezione. E adesso che Sofia se n'era andata quel sentimento pesava più del dovuto e, per mano al rimpianto, non entrava più nella piccola ombra dell'orgoglio e dell'apparenza.
Chissà dove finisce l'amore che non abbiamo dato, quello che nasce destinato a qualcuno in particolare ma che poi non viene mai consegnato. Chissà se si traduce in silezi, spazi vuoti di rabbia e malinconia, oppure può essere semplicemente sostituito da un amore diverso, destinato a qualcun altro.
Per quanto tempo il rimorso stringe la mano all'amore sprecato? E per quanto tempo quell'amore resta sospeso in una lingua di fuoco, a bruciare lentamente?
Nessuna doccia calda ci avrebbe coccolati, nessuna tazza di tè sarebbe riuscita a scaldarci. Un nuovo vuoto aveva iniziato a ricoprirci di lacrime.
Il pomeriggio in cui scoprimmo della scomparsa di Sofia, tornati a casa, vidi Mex piangere per la prima volta. Sapevo che aveva pianto per sua sorella dopo l'autobomba, ma io non l'avevo ancora mai visto con gli occhi rossi, le labbra gonfie e le guance umide.
Si era spogliato di tutti i vestiti e, rimasto in boxer, quasi senza rivolgermi uno sguardo, si era avviato verso il bagno.
«Mi faccio una doccia, mi dà fastidio il tocco dei dottori sulla pelle» aveva urlato chiudendosi la porta alle spalle. La voce spezzata aveva tradito la sicurezza che cercava di trasmettere attraverso i passi sicuri e la schiena rigida.
Lo avevo raggiunto in bagno, mi ero spogliata ed ero entrata in doccia con lui, che, girato di spalle, non si era accorto della mia intrusione. La mia mano si era poi appoggiata sulla sua spalla per farlo voltare verso di me.
Un lieve singhiozzo aveva preceduto il mio nome, sussurrato a labbra semi chiuse.
E lo avevo stretto al mio corpo, una mano sulla schiena e una sulla sua nuca.Sperai che si sarebbe ricordato ancora una volta quanto la morte porta via, il ripasso di una lezione che aveva già imparato da tempo.
Il quattro febbraio mi aspettò in piedi, accanto al tavolo della cucina. La colazione preparata e una tazza fumante di tè su una tovaglietta colorata.
«Ti ho preparato la colazione»
Lo baciai. «Grazie»
Lui guardò l'orologio appeso al muro.
«Possiamo uscire per le 10.30?»
«Dove devi andare?»
«Vorrei portarle dei fiori»
Finii di mangiare e mi vestii alla svelta. Alle 10.27 eravamo già in macchina. Ci fermammo dal fioraio in centro, quello più vicino al mare, perché io avevo sempre odiato l'idea di prendere i fiori dai chioschetti di fronte ai cimiteri, che sintetizzavano il gesto di regalare un bel mazzo di fiori a chi, nonostante l'assenza fisica, ancora si ama, ad un semplice rito, una cosa "che si fa" quando si va a far visita ai morti. E Sofia si meritava un mazzo di fiori da bimba, ragazza e donna viva, ché in fondo viva lo era ancora, batteva forte nei nostri cuori e ci faceva vibrare tutti, dalla trachea allo stomaco.
Alec cercò la mia mano dopo aver superato il cancello in ferro battuto del cimitero, strinsi a mia volta la sua e lo guidai verso la piccola lastra di marmo che copriva quello che di Sofia era rimasto in terra.
Il mazzo di fiori fu appoggiato sul marmo bianco di Carrara, vicino alla sua foto, vicino ad altri fiori e orsacchiotti, cuori e crocifissi.
Lì, in quel momento, il tempo che le avremmo potuto dedicare sarebbe stato infinito, ma comunque non sarebbe stato abbastanza; il tempo era scaduto da un po' e Sofia non c'era più.
Grazie per avermi dato l'opportunità di ricordare quanto siete belli voi bambini con i vostri modi semplici di fare tutto. Grazie per avermi illuminata, guidata, scaraventata via e poi riportata a casa, fra le braccia di chi adesso mi tiene al sicuro.
Te lo devo dire: non sarai mai una un'adolescente, una ragazza e una donna, non troverai il ragazzino che ti farà girare la testa per la prima volta, l'uomo che ti giurerà amore eterno o la migliore amica a cui confessare i segreti più imbarazzanti. Non viaggerai, non conoscerai nuove persone e non proverai più amore di quello che ti è già stato dato.Ma vivrai con me, con noi, sempre nei miei ricordi, perché a te sarò per sempre grata.
In fondo l'amore che non potrai vivere è esattamente quello che ti eri già presa, quello che hai tenuto stretto fra le mani e hai scaraventato addosso a noi.
Ciao Sofi, non ti vedrò crescere, ma ti prometto che crescerai con noi.
Di fronte alla sua lapide, con le lettere cromate che componevano la sua data di nascita negli occhi, capii che la morte si moltiplica nel silenzio, come nebbia si espande e arriva agli occhi di tutti, una specie di effetto domino da cui non si possono prendere le distanze. La morte prende e porta via, frantuma e poi scappa. Non si prende responsabilità e non osserva conseguenze, è una chiusura forzata, un reset, una ferita necessaria che neanche il tempo sa richiudere.
Quando Alec mi diede una leggera scossa ripresi fiato.
«Si è fatto tardi» sussurrò al mio fianco, incamminandosi verso il vialetto asfaltato che portava al cancello.
La morte è anche questo: il ricordarsi che il tempo, nonostante il dolore, scorre ancora, e non ha pietà.
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ADESSO CHE NON CI SEI
Romansa(IN CORSO) Maia ha diciannove anni ed è irreparabilmente infelice, non accetta niente della vita in cui è rinchiusa e, come spesso accade ai giovani, ogni occasione è buona per criticare tutto ciò che non va, ignorando l'esistenza del lato positivo...