La corsa in ospedale fu molto silenziosa. Perfino io, che trovo ogni occasione buona per dire ciò che penso, decisi di non aprire bocca.
O per meglio dire, non trovai propria nulla di coerente - o quanto meno costruttivo - adatto a quel momento.
Non riuscivamo neanche a guardarci in faccia, spaventati che dagli occhi potessimo intuire i timori che ognuno di noi teneva dentro.
Cercavo di non pensarci troppo, perché volevo credere che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Ma ogni tanto il mio lato negativo tornava a galla.
E se pensavo che Jo poteva rischiare la vita, andavo fuori di testa. In una situazione del genere sarebbe meglio non dare di matto, ma io non sono mai stata brava a mantenere la calma.
Anche Vince sembrava faticasse parecchio a nascondere il suo stato d'animo. Si agitava in continuazione sul sedile del passeggero, si mangiava le unghie e continuava a chiedere a Gregor quanto tempo mancasse per raggiungere l'ospedale.
Quest'ultimo era l'unico tra noi a mantenere più calma del previsto - io ormai ero una fontana impossibile da spegnere - e proprio per questo aveva preso in mano la situazione, aveva cercato di tranquillizzarci e aveva deciso che era meglio se guidasse lui.
Stimavo davvero la sua calma ed ero sul punto di chiedermi come facesse a non perdere completamente il senno. Poi però, prima di salire sulla macchina, mi resi conto che stava cercando il mio sguardo.
Quella fu l'ultima volta che ci guardammo dritto negli occhi, e riuscii a capire che anche lui aveva paura. Solo che, al contrario mio e di Vince, cercava di essere forte per e tutti e tre.
Fu solo una frazione di secondo, un istante in cui riuscii a percepire tutto ciò che avrebbe perso se Jo fosse stato spacciato. E poi si voltò e tornò tutto d'un pezzo, prese di nuovo le redini in mano e non perse altro tempo.
Mentre guidava riuscii perfino a rintracciare i genitori di Jo. Vince si era rifiutato di parlare con loro, preso dal panico e non sapendo bene che cosa dire loro. E ancora una volta Gregor aveva fatto tutto da solo, senza esitazione. Avrei anche potuto parlare io con la famiglia di Jo, ma non mi sembrava il caso visto che non li conoscevo.
Quando arrivammo all'ospedale, loro ancora non c'erano. Venendo da fuori città avrebbero impiegato qualche ora prima di riuscire a raggiungerci. E così fummo costretti ad aspettare, in una piccola sala d'attesa, le sorti del suo nostro amico.
Con noi erano presenti anche alcuni colleghi di Jo, ancora in divisa, completamenti sporchi e scioccati dalla situazione. Nonostante sapessero che il loro lavoro non è certo facile, rischiare di perdere un compagno è sempre triste.
Gregor cercò, invano, di sapere le condizioni di Jo, usando tutto il suo aplomb da uomo sofisticato con l'infermiera che però non si lasciò convincere.
"Non possiamo dare informazioni ad amici e conoscenti, dobbiamo aspettare i familiari", fu la pacata risposta della donna, visibilmente dispiaciuta per non poterci aiutare. E mentre io e Vince ce ne stavamo seduti su quelle scomode sedie di plastica, disperati e un po' spaesati, Gregor non era affatto felice e soddisfatto delle sue parole.
Quasi indignato, replicò: "Conosco Jo da più di dieci anni, abitiamo insieme da allora... Siamo noi la sua famiglia". E le sue parole mi riscaldarono il cuore, non solo perché sapevo che erano del tutto sincere, ma perché era confortante sapere di poter sempre contare su amici come lui.
Ricominciai di nuovo a piangere, travolta da una miriade di emozioni contrastanti tra di loro mentre l'infermiera, in imbarazzo, ci lasciava da soli senza riuscire a obbiettare alle parole di Gregor. Però non aveva ceduto e noi eravamo rimasti senza informazioni.
STAI LEGGENDO
I disastri di Alice (Ex La nuova coinquilina)
Literatura FemininaPrimo libro Alice, prossima ai trent'anni, wedding planner con la passione per gli abiti vintage e un po' eccentrica. Avendo tutti i giorni a che fare con spose, altari e anelli, sogna il s...