74.Tutto è bene quel che finisce bene

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Alla fine riuscii a mettere a lavoro tutti quanti, perfino Vince. Nonostante più di una volta i ragazzi finsero di lamentarsi.

Dico "finsero" perché in realtà era ben ovvio che si stavano divertendo. Chissà che cosa passava nella loro testa ma era come se vedessero quell' esperienza come un giorno al parco giochi.

Forse perché non avrebbero mai pensato che un giorno si sarebbero ritrovati a preparare un matrimonio.

E quando Gregor andò a prendere Emma a scuola, misi a lavoro anche lei.

Immaginate una ragazzina di dieci anni che dirige i lavori, come un capo fermo e intransigente, dando ordini a destra e manca.

Sembrava fatta apposta per quel mestiere.

E mentre loro si divertivano a gestire un'emergenza diversa dalle solite, più passava il tempo e più tornavo fiduciosa.

Forse anche perché le cose iniziavano a sistemarsi, a volte senza neanche il mio contributo.

Il Bistrot era disponibile per il matrimonio, Gregor aveva chiamato i suoi amici musicisti e li aveva avvisati che avrebbero suonato al matrimonio e Vince aveva sistemato il collegamento con l'aeroporto.

Perfino Grace e Kisha si erano confermate disponibili a darmi una mano e, insieme a Holly, avevamo passato più di mezza giornata a sistemare il locale e a farlo diventare un cocktail bar in riva al mare.

Certo, non era come essere alle Hawaii, e la neve che continuava a cadere ben visibile dalle finestre non aiutava, ma almeno ci avevamo messo tutte noi stesse per rendere la cosa quantomeno decente.

Un po' di sabbia sparsa qua e là, qualche conchiglia e alcune decorazioni a tema marino era tutto ciò che avevo a disposizione. E devo dire che l'effetto non era niente male.

«Mi auguro che finita la festa rimetterai tutto apposto», erano state le prime parole di Gregor, non appena aveva messo piede all'interno del ristorante. 

Non ero sicura se la sua espressione fosse spaventata - anzi terrorizzata - oppure sorpresa. Ma gli sorrisi con un'atteggiamento fin troppo ottimistico: «Ma certo».

Cercai di non pensare alla notte, e al giorno seguente, che avrei passato a togliere tutta quella roba per cercare di far tornare il Bistrot al suo animo jazz. Ma ne valeva la pena. 

Sopratutto perché alla sposa, Jennipher, il locale piacque molte. Devo essere sincera, ero in ansia proprio nell'attesa di scoprire che cosa ne pensava. E quando entrò, ore e ore prima dell'inizio del matrimonio, il suo sorriso mi fece tirare un lungo sospiro di sollievo.

Aveva già intuito che non fosse una persona molto esigente ma credevo che avrebbe dato di matto una volta scoperto che doveva prepararsi, pettinarsi e truccarsi nel bagno delle donne. E invece non perse la sua gioia. Sì, lo so, la gente è strana. 

«E' tutto bellissimo, non avrei immaginato niente di meglio... Hai avuto proprio un'idea geniale», mi disse, confidandosi come se fossimo amiche da una vita, quando invece io la vedevo per la prima volta. 

Non credevo di aver fatto nulla di tanto speciale ma mi presi i complimenti senza troppo indugio. 

Per qualche istante, mentre vedevo gli invitati entrare, l'uno dopo l'altro, mi venne il dubbio che forse non saremmo riusciti ad entrarci tutti, visto anche che una parte del locale era stata adibita a zona per la cerimonia. 

Poi però fui distratta da un problema più importante: il vestito era troppo grande per la sposa che, a occhio e croce, era magra come un chiodo. 

Davanti alla scena che mi si parava, mentre la sua migliore amica le teneva i due lembi del vestito, tentando invano di trovare una sistemazione, io cercai di non maledire Brandy e la sua convinzione che io e Jennipher avessimo la stessa taglia. 

I disastri di Alice (Ex La nuova coinquilina)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora