Rabbia

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Quando tornai a casa la prima cosa che ottenni, aprendo la porta d'ingresso, fu un ceffone enorme sulla guancia.
Il primo della mia vita da parte dei miei genitori.
Mia madre era davanti a me con le lacrime agli occhi e con la mano ancora sospesa a mezz'aria.
<<Come hai potuto farlo? Noi ci fidavamo di te>> mi disse lei, utilizzando una voce talmente ferita che fu un coltellata al cuore per me.
Ero confusa, sia per quello successo poco prima e sia per lo schiaffo appena ricevuto.
Non riuscivo a collegare le due cose.
Mio padre era dietro di lei e mi fece cenno di entrare, chiudendo poi la porta al mio posto.
<<Abbiamo visto i notiziari. Non ci siamo precipitati subito lì per non destare clamore, ma ti assicuro che avremmo tanto voluto farlo. Come hai potuto? Come? Avevi giurato>> continuò a dirmi mia madre, ancora piangendo.
Mi furono necessari due tentativi per ritrovare la voce.
<<Non capisco>> dissi, massaggiandomi la guancia colpita.
<<Perché non hai preso le tue medicine? Da quanto tempo andava avanti questa storia?>> domandò mio padre, parlando per la prima volta dal mio rientro.
Non ci capivo più niente. Non sembravano colpiti di per sé dalla vicenda appena accaduta, ma continuavano solo a rimproverarmi.
<<Cosa c'entrano le mie medicine? Mamma, papà, ho appena usato un'unicità. Perché non dite nulla?>> domandai.
Riuscii ad arrivare a una piccola deduzione nei secondi successivi alle mie parole.
Un brutto pensiero si fece largo dentro di me.
<<Quelle medicine... cos'erano esattamente?>> domandai, riducendo la voce ad un sussurro.
I miei genitori sgranarono gli occhi e si guardarono l'un l'altro con un'espressione colpevole e terrorizzata.
Altri pezzi si aggiunsero al puzzle nella mia mente.
<<Sono mai stata malata?>> domandai, incalzante, con un accenno di rabbia nella voce.
Rabbia data dalla confusione.
Rabbia data dal pensiero che stava lentamente strisciando dentro di me.
<<Tu non sei nata senza unicità>> disse mio padre a freddo <<ma possiamo spiegarti.>>
<<Tamura!>> esclamò mia madre in tono di rimprovero. Non chiamava mai per nome mio padre, mai.
Arretrai e mi schiacciai contro la porta alle mie spalle, respirando affannosamente in cerca di aria.
Mio padre mi afferrò con delicatezza per un braccio e mi scortò in sala, facendomi sedere sul divano e prendendo posto di fronte a me. Mia madre restò sulla soglia della porta apparentemente in stato di shock. Un po' come me d'altronde, l'espressione e la confusione erano le medesime.
Non trovai nemmeno la forza per spiccicare parola, nonostante tutte le domande che lottavano per uscire.
<<Il tuo potere... è pericoloso, pericoloso nelle mani sbagliate>> iniziò mio padre.
<<Sei sicuro di volerne parlare proprio con lei? Avevamo giurato di non dirle mai nulla. Te lo sei dimenticato?>>
<<Non abbiamo alternative, Aiko. È tardi ormai per i segreti>> le rispose lui, passandosi stancamente una mano tra i capelli biondi.
Io pendevo dalle sue labbra. Confusa. Senza parole.
<<Quando sei nata i tuoi poteri hanno iniziato ad emergere a pochi mesi dalla nascita, ma erano troppo forti, imprevedibili sotto alcuni punti di vista. Non potevano controllarlo, non potevamo proteggerti. Eravamo disperati>> disse, prendendosi un secondo di pausa prima di proseguire <<il laboratorio di ricerca e sviluppo sulle unicità stava conducendo una ricerca sperimentale, che aveva dato i suoi frutti. Un farmaco capace di reprimere le unicità di una persona, inizialmente ideato per tenere a bada i poteri dei criminali in prigione con la condanna all'ergastolo, ma perfetto per la tua situazione.>>
Percepii le prime lacrime iniziare a scendere lungo il mio viso, le prime dopo tutte le vicende di quella giornata. Impossibili da trattenere dopo le parole appena ascoltate.
Tutte le emozioni che stavo trattenendo esplosero ferocemente.
<<Cosa stai cercando di dirmi, papà? Che mi avete mentito per 14 anni e costretta ad assumere delle medicine per soffocare i miei poteri? È questo che stai cercando di dirmi?>> domandai urlando, alzandomi di scatto per poter fronteggiare la figura del capofamiglia.
Lui si mise la testa tra le mani e mia madre ci raggiunse, poggiandomi una mano sulla spalla che prontamente scacciai.
<<Tu non capisci! Non l'abbiamo fatto per paura di te, l'abbiamo fatto per paura degli altri!>> rispose lei di rimando, scoppiando a piangere a singhiozzi.
<<Gli altri chi?>> domandai, urlando ancora più forte, anche io fra i singhiozzi.
<<Da persone disposte a tutto per mettere le mani su un potere del genere>> rispose mio padre, alzandosi a sua volta.
<<Quale potere del genere? Ho solo impedito ad un bambino di finire al suolo, cosa c'è di così pericoloso nel mio potere?>> domandai.
Non ci capivo niente. Non ci capivo più niente.
<<Non è solo questo! Quello non è niente, tu puoi fare molto di più. Cose che nemmeno nelle tue più profonde fantasie potresti immaginare.>>
Indietreggiai dopo quelle parole, per sfuggire dalla mano che mio padre aveva allungato verso di me.
Non volevo che mi toccasse.
<<Come avete potuto farmi una cosa del genere solo sulla base di un presupposto? Vi rendete conto di quello che ho dovuto passare? Siete pazzi! Siete maledettamente pazzi!>>
<<Pensi che il fratello di tua madre sia davvero morto in circostanze sconosciute? Lui aveva le tue stesse doti ed è morto per questo, lo vuoi capire? Devi assolutamente nascondere tutto e tornare a prendere le tue medicine>> disse mio padre con disperazione.
Mia madre al suono di quelle parole si accasciò su se stessa in preda a una crisi di pianto incontrollabile, mentre io mi limitai ad indietreggiare ancora di più.
L'occhio mi cadde sulla foto di mio zio, giovane e sorridente in quell'attimo catturato per sempre dall'obbiettivo di una fotocamera, e il peso di tutte le bugie ascoltate negli anni mi precipitarono sulle spalle come dei macigni.
<<Voi non siete i miei genitori. Voi siete dei mostri senza cuore>> gli urlai contro, afferrando il mio zaino e correndo fuori dalla porta di casa, senza curarmi delle urla dei miei genitori che mi scongiuravano di tornare indietro.
Continuai a correre disperatamente, senza abbandonare nemmeno per un secondo la paura di vedere mio padre seguirmi in volo per riportarmi a casa e imbottirmi di altre medicine; ma dopo 4 isolati abbandonai l'idea, perché lui non arrivò.
La visuale della strada era offuscata dall'alone delle mie lacrime, ma le mie gambe sembravano sapere da sole dove andare.
Mi lasciai guidare dal mio cuore e dal mio istinto, fino ad arrivare davanti a tre condomini tutti uguali.
Pigiai con forza sopra al campanello di uno degli edifici, replicando un gesto che avevo fatto molte volte nel corso della mia vita.
Mi rispose la voce di Inko Midoriya, la mamma del mio migliore amico dalla chioma verde.
<<Chi è?>> domandò.
Cercai di rispondere con una frase articolata, ma tutto ciò che uscì dalla mia bocca fu una serie di singhiozzi e parole senza senso.
Lei sembrò capire lo stesso, dato che dopo un minuto scarso mi ritrovai sia lei che suo figlio davanti al portone.
Mi buttai sul corpo di Izuku, scoppiando a piangere senza ritegno contro la sua spalla.
<<Izu-Izuku, tutta la mia vita è un'enorme menzogna. Non so più chi sono>> gli sussurrai contro la pelle, nonostante la voce rotta dal pianto.
Percepii la sua mano destra correre sulla mia testa, tra i miei capelli, e il tocco gentile della signora Midoriya sulla mia schiena.
<<Portala dentro, Izuku. Diamo a questa poverina un po' di tranquillità>> suggerì lei.
Mi lasciai condurre dentro senza fiatare, ma senza lasciare nemmeno per un secondo la presa sulla maglietta di Izuku.
Non volevo. Ne avevo davvero bisogno.
I due mi portarono sul piccolo e confortevole divano del loro salotto e il mio amico mi lasciò bagnare la sua maglietta di lacrime, senza proferire nemmeno una parola, limitandosi ad accarezzarmi il capo con fare fraterno e affettuoso.
Piansi per mezz'ora circa e lui non me lo impedì. Restò lì con me, insieme a sua madre, nel salotto della loro abitazione.

TADAN
Come mi sento diabolica.
Volevo fare qualcosa di diverso e spero di esserci riuscita. Mi piacerebbe cambiare un po' le carte in tavola.
Staremo a vedere.

Oggi fa troppo caldo per vivere. Quindi resterò davanti al ventilatore a leggere gli arretrati di Noragami che ho in libreria e poi guarderò qualche anime.
Vita sociale 0.

Timeless (Bakugou/Todoroki x Reader)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora