The one where Ermal thinks about his past

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Ermal era sempre stato fiero delle sue origini. Ma nonostante questo, parlare dell'Albania e stare a contatto con una lingua e delle tradizioni che lo facevano ripensare alla sua infanzia, gli ricordavano inevitabilmente gli anni passati a difendersi - e a difendere la sua famiglia - da un uomo che aveva dimostrato di essere suo padre solo geneticamente.

Era più forte di lui. Ogni volta che diceva una parola nella sua lingua madre, ogni volta che vedeva la bandiera dell'Albania, il suo cuore scalpitava diviso tra l'orgoglio per le sue origini e i ricordi dolorosi legati ad esse.

Forse era anche per quello che quella sera, insieme ai suoi connazionali sul palco di uno splendido teatro di Roma, non vedeva l'ora di andarsene.

Voleva scendere da quel palco, uscire da quel teatro, riprendere a parlare italiano e riprendere a respirare. Perché lui amava parlare in albanese, amava ripensare alla sua terra, ma ogni volta che lo faceva gli si stringeva il cuore. E dopo una serata intera passata in quel modo, voleva solo staccare il cervello per un attimo e tornare a essere l'adulto che si sentiva italiano, smettendo di pensare al bambino che invece si sarebbe sempre sentito albanese.

Quando finalmente capì che poteva mettere fine alla serata, sospirò di sollievo mentre recuperava il cellulare dalla tasca e componeva velocemente il numero di Fabrizio.

Era sempre lui che chiamava quando sentiva il bisogno di ritrovare un po' di pace.

La sua famiglia e i suoi amici si sarebbero preoccupati troppo sentendo il suo tono di voce e percependo una sfumatura di malinconia.

Fabrizio era l'unico che, pur essendo preoccupato, cercava sempre di farlo sorridere e di tirargli su il morale senza fare troppe domande. Strano, considerata la sua ipocondria e il suo costante bisogno di sapere che le persone a cui teneva stessero bene.

Forse, aveva semplicemente capito quale fosse il modo giusto per farlo stare meglio ed era riuscito a mettere a tacere la sua preoccupazione pur di riuscirci.

Appena Ermal sentì Fabrizio rispondere alla chiamata, si sentì improvvisamente meglio.

Sorrise senza nemmeno rendersene conto mentre sussurrava: "Ciao, Bizio" e sentiva Fabrizio sorridere dall'altra parte. Sì, perché anche se non poteva vederlo riusciva a sentire il suo sorriso.

Il sorriso di Fabrizio faceva rumore, lo stesso rumore di un cuore che batte, del mare dentro una conchiglia, del vento che muove le foglie. Il sorriso di Fabrizio aveva il rumore di tutte le cose che Ermal amava e non aveva bisogno di vederlo per percepirlo.

"Ehi, come stai? Com'è andata la serata?" chiese Fabrizio curioso.

"È andata... Bene dai, è andata bene" rispose Ermal, un po' titubante.

"Sicuro?"

Ermal evitò di rispondere e disse: "Posso passare da te?"

"Certo che puoi. Non dovresti nemmeno chiedere, c'è un motivo se ti ho dato una copia delle chiavi."

Ermal sorrise mentre la mano destra scivolava nella tasca e sfiorava il portachiavi a forma di lupo che Fabrizio gli aveva dato insieme alla copia delle sue chiavi di casa.

L'aveva fatto senza un particolare motivo. Non c'erano di mezzo compleanni o occasioni che giustificassero un regalo, soprattutto un regalo come quello. Semplicemente un giorno Fabrizio aveva dato ad Ermal quel mazzo di chiavi e, quando come risposta aveva ricevuto uno sguardo interrogativo, aveva detto: "Non si sa mai. Fa sempre comodo avere un posto in cui stare quando vieni a Roma."

We're all stories in the end - Metamoro one shotsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora