2. RAPITO (REV)

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Passati ben due anni da quella notte piovosa, Simon, aveva lasciato tutto per dedicarsi a quella missione, circondato dai figli della sua grande famiglia. Sempre più persone vedevano in lui e in quell'opera qualcosa a cui aggrapparsi per ricominciare una nuova vita, anche se i Lucifer spargevano malelingue e menzogne sul suo operato, Simon non sembrava crucciarsi delle voci che giungevano fino a lui.

La sua fede poteva vincere qualsiasi cosa e non erano certo delle menzogne ad abbattere la sua caparbietà.

Forte di quel vigore, attraversava il cortile con braccia strette al petto, in un tranquillo pomeriggio di fine marzo, controllando con sguardo vigile la parte frontale della Cappella. Poi, i suoi occhi furono attratti dalla consueta partita pomeridiana tra i due ragazzi più grandi; con un sorriso sghembo si soffermò a guardarli che giocavano a pallone proprio vicino al muretto che fungeva da divisore tra la Chiesa e il palazzo del Centro.

«Prova a parare questa, se ci riesci!»

«Tu pensa a farla entrare in porta!»

Il ragazzino dai capelli corvini e gli occhi celesti allargava le braccia con i muscoli delle gambe ben tesi e pronti a guizzare, posizionato proprio a contatto del muro; il secondo, di fronte a lui, dai capelli castani e gli occhi verdi, si dondolava sui piedi mordendosi il labbro e socchiudendo gli occhi, quasi calcolando l'angolazione della traiettoria per far arrivare il pallone dritto nella porta che i due avevano delimitato con due mattoncini.

Nonostante le varie misurazioni, il pallone arrivò oltre la testa di Caleb che gettò un grido di gioia che riecheggiò nel cortile, accompagnato da fragorose risate.

«Non ho più voglia di giocare!» commentò Joshua con le mani ai fianchi, togliendosi in uno sbuffò un ciuffo sudato dagli occhi.

Simon, sciolte le braccia, si avvicinò al secondo ragazzo scompigliandogli i capelli con una mano mentre lo oltrepassava.

«Caro Joshua, lo sai qual è il segreto della gloria?»

Il ragazzino lo osservò con sguardo interrogativo, mentre il Padre poneva il piede destro sul pallone color bianco sporco e nero. «No, padre.»

Il ragazzo sbarrò occhi celesti e attaccò la schiena a un muretto ruvido non appena vide l'intervento del padre. «Attento Caleb, stai pronto. Ok?» un occhiolino per rassicurarlo delle sue buone intenzioni. Il giovane annuì più volte e la palla venne bloccata dalle sue mani che impiegò qualche istante per capacitarsi dell'accaduto.

«Il segreto della gloria è l'umiltà, Joshua. L'orgoglio, invece, precede la rovina. Sei stato bravo Caleb, la tua umiltà ti ha dato il coraggio di bloccare la palla al momento giusto.»

Disse questo mentre camminava verso il ragazzino che teneva la palla e con un mezzo sorriso osservò Joshua che calciava una pietra con sguardo basso.

«Padre Simon!» in quel momento, sentire la voce di Lucia che lo stava raggiungendo di corsa lo turbò più delle altre volte. La giovane giunse a lui con sguardo terrorizzato.

Solitamente, a quell'ora del pomeriggio Lucia si rifugiava nella Cappella per pregare e leggere i passi citati da Simon durante le funzioni; passava molto tempo a pregare sotto la grande Croce di legno, posta dietro l'altare.

«Padre Simon!» con voce roca e gli occhi verdi vicini alle lacrime, oltrepassò i due ragazzi per avvolgere le braccia ai fianchi del padre e nascondere il viso sul suo petto.

«Lucia...» cercò i suoi occhi e, appoggiando i palmi alle spalle la allontanò un po' per scrutarla con sguardo accigliato.

«Una cosa terribile... Ho visto una cosa terribile.» gli confidò, quasi in un sussurro. Non avrebbe lasciato ascoltare a nessuno nemmeno una sola parola di quel che la visione le aveva mostrato perché, negli anni, aveva capito che solo il Mandato aveva il potere di discernere se le immagini che la sua mente produceva erano state mandate da Dio o erano il frutto delle sue paure.

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