5. CASUALITÀ(REV)

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Acab attraversò il marciapiede a passo lento, sistemandosi il cravattino. «Acab, giusto?» azzardò Joshua e l'altro di tutta risposta batté le mani soddisfatto. «Molto bene Figlio di Dio, molto bene. Hai indovinato. Da cosa mi hai riconosciuto? Dal fascino?» ormai a un passo da lui, lo squadrò dalla testa ai piedi.

«No. Dalla puzza di inferno». Con lo sguardo accigliato e il ringhio di un cane che aspetta di essere sguinzagliato, mentre con un'ultima occhiata alla ragazza si assicurava che non fosse ferita. «Che le hai fatto?»

Acab si voltò verso la figura minuta e immobile al muro. «Cosa avrei voluto fare, vorresti dire...» fu con quelle parole che Joshua lo prese dal colletto perfettamente stirato della giacca nera per farlo andare contro il lampione. Acab alzò le mani in segno di resa, con quel ghigno che non accennava a scomparire dalla faccia.  «Tranquillo, giovane dal nome impronunciabile!»

A quel punto, Ariel, temendo il peggio, indietreggiò lentamente con le mani sulle labbra e respiro spasmodico, mentre Acab continuava a giustificarsi: «L'ho solo accompagnata a casa, dopo il guasto che aveva avuto alla sua macchina». Il volto beffardo e strafottente del Lucifer provocò in Joshua un bruciore pulsante alla bocca dello stomaco.

«Sai, non mi sembra proprio che lei sia soddisfatta della tua galanteria» gli ringhiò, senza mollare la presa, avvicinando pericolosamente la sua fronte a quella dell'altro. In un istante, distolse l'attenzione dall'adepto per intimare alla ragazza di andarsene, con un cenno del capo.

Ariel lo guardò con aria perplessa per poi fuggire in quella casa che a Joshua era sembrata disabitata.

***

L'adrenalina che faceva sussultare gli arti non le permetteva di aprire la porta di casa; le mani di Ariel tremavano, mentre cercava di inserire le chiavi nella serratura con il terrore di avvertire le urla di qualcuno, da un momento all'altro. «Apriti! Apriti!» con un ultimo spasmo riuscì ad aprire e velocemente sgattaiolare all'interno. Richiuse la porta dietro di sé, attaccando le spalle al legno con il respiro che le faceva muovere lo sterno in maniera irregolare.

Salì su per le scale che portavano alla stanza da letto e spalancata la porta, gettò malamente la sua borsa in terra con il presentimento che tra i due ragazzi fosse successo l'indicibile; così, mentre le correvano in mente diversi pensieri poco edificanti, aprì la porta finestra e si affacciò al balcone, facendo ondulare i capelli oltre la ringhiera.

Per suo stupore i due non c'erano più. Non sapeva se tranquillizzarsi o cadere in preda allo sconforto. Sbarrò gli occhi e si sedette sul pavimento freddo del balcone, poggiando le mani sul viso.

Inalò a pieni polmoni l'aria umida di ottobre e rimase lì, a pensare a quel che era successo. La sua auto in fiamme, Acab che si offriva di accompagnarla e quelle strane sensazioni in sua presenza fino a quando... I suoi occhi...Gli occhi di Acab l'avevano fatta sentire diversa, volubile. Troppo volubile. Si strinse le gambe al petto e nascose il volto poggiando la fronte sulle ginocchia. All'improvviso ebbe l'impressione che Joshua e Acab avessero qualche questione in sospeso. "Figlio di Dio"...

I ragazzi, di solito, non si parlavano in quel modo.

"Puzza di inferno?" Che fantasia... considerò in una risata nervosa.

Come avrebbe potuto avere qualche informazione? Non conosceva bene i ragazzi. Si alzò in piedi, tornando a guardare la strada e quando si rese conto che Joshua abitava proprio di fronte a lei, avvertì un pungolo nel petto. Serrò il labbro tra i denti, stringendo metallo della ringhiera sotto i palmi.

No, Ariel. No.

Si rimproverò decisa e avvertendo il freddo della notte sotto la giacca di jeans rientrò nella sua camera. Certo, era strano: trovarsi a due passi dalla porta di quel ragazzo che l'universo gli aveva messo vicino prima in segreteria, poi come collega e infine come vicino di casa pronto a difenderla.

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