24. La Fede di Filadelfia Pt.II

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"Se infatti, quando eravamo nemici,

siamo stati riconciliati con Dio

per mezzo della morte del Figlio suo,

molto più ora che siamo riconciliati,

saremo salvati mediante la sua vita."

(S.Paolo - Lettera ai Romani 5,10)

Mentre viaggiavano nella volante, a velocità contenuta, Ariel poté contemplare nuovamente le vie del Centro in cui si alternavano negozi di abbigliamento rinomati e luoghi di ritrovo per giovani benestanti e ricchi benefattori. Osservava in silenzio, con il capo piegato e a contatto con il vetro del finestrino. La luce del sole era forte e riscaldava la sua pelle di un tepore così consistente da sentirsi come accarezzata e - inspiegabilmente - consolata.

Si rivide camminare tra quelle vie per arrivare in tempo e prendere l'autobus per recarsi all'Università nelle vesti di matricola.

L'Università...

Con la mano chiusa a pugno si colpì la fronte, incolpandosi del lieve senso di tranquillità provato nel ricordare quei momenti in cui i suoi occhi erano ancora innocenti.

Avrebbe voluto conoscere Joshua prima di quella stupida facoltà; avrebbe voluto incontrare Simon, Nathan e tutta quella celeste realtà per avere la possibilità di non compiere quell'errore che gli era costato giorni di inferno; nel disubbidire alla voce di Dio, data per bocca di Simon, aveva alimentato la  sua testardaggine per recarsi da sola tra le braccia della morte.

Magari Joshua si sarebbe salvato...

Con il respiro pesante rivolse lo sguardo alla sua sinistra in cui  era seduto Acab, con gli occhi persi e riflessi nel vetro in cui si alternavano il verde delle fronde degli alberi e l'azzurro del cielo; in quello sguardo dalle occhiaie marcate, Ariel non riuscì a vedere altro se non la colpa di aver voluto affrontare il nemico da sola e il merito di averlo - in qualche modo - salvato dall'inferno. Sempre se la  presenza di Acab in quella macchina fosse dovuta a scelte ponderate o a un ulteriore trappola diabolica. 

D'altronde, non è che un figlio di Satana...

Dal finestrino, il sole illuminava i capelli arruffati e pieni di nodi di Ariel, mentre gli occhi pesanti sembravano pronti ad abbandonarsi al sonno. D'un tratto, il dorso della sua mano avvertì il tocco delle dita di Acab.

Lei si guardò la mano, coperta da quella rigata di sangue rappreso dell'altro;   gli occhi lucidi accarezzarono con lo sguardo il braccio fino ad arrivare a fermarsi sulle labbra. Non voleva incontrare i suoi occhi; era ancora pregna del timore di venire nuovamente soggiogata.

Così, quando avvertì i suoi su di sé, li fissò con un moto d'astio di cui quei suoi occhi grandi erano saturi. Un fuoco di rabbia le infiammò il cuore, riducendolo a un mucchio di cenere. Con uno scatto ritirò la mano, senza provare alcuna pietà per quegli occhi azzurri pieni di emozione.

Acab portò le mani sulle ginocchia e rivolgendo il palmo verso l'alto guardò il colore rosso impresso tra le linee del cuore e della vita. Alzò il capo a fissare il grigiume del tettuccio della volante, pervaso da un senso tristezza che comprimeva il cuore. Una sorta di buco nero nell'anima che aveva inghiottito tutti i sentimenti provati in quelle ore.

In poco tempo aveva perso la madre, il padre e la sorella per salvare l'anima di una ragazza che si rifiutava perfino di guardarlo negli occhi. Eppure era stata lei la prima a capire che i suoi occhi non erano lo specchio di un'anima nera.

Poi, i pensieri si intrecciarono in considerazioni e in equazioni logiche per cercare di capire cosa fosse realmente successo e cosa avesse portato Joshua a quell'azione.

Lei ama Joshua...

Joshua ha detto che io la amo...

E lui? Lui ha fatto tutto per amore di Ariel?

Sì piegò in avanti, puntellando i gomiti alle ginocchia, portando le mani a coprire il viso e massaggiare gli occhi.

Quel ragazzo aveva rinunciato alla sua vita non solo per Ariel, ma anche per uno come lui. Aveva rinunciato ad Ariel per lasciarla alle sue cure, di colui che l'aveva portata lì a gemere notte e giorno.

Si prese i capelli tra le dita, stringendoli fino a far diventare le nocche bianche.

Perché ti sei fidato di me, eh? A che scopo?

Che razza di amore è il tuo, Joshua?

Strinse i denti per evitare di urlare.

Come una lama che oltrepassa il costato, Acab avvertì il dolore di una consapevolezza risalita dai meandri della sua memoria. Sbarrò gli occhi. Gli parve di vederlo lì davanti a sé, come quella notte di mesi prima.

Joshua era seduto a terra con le braccia conserte sulle ginocchia e lo fissava mentre il fumo della sigaretta adombrava i lineamenti di Acab, posto- come al solito - a guardia del prigioniero. 

Gli stava parlando del significato del Nome che loro non potevano pronunciare. Gli aveva spiegato che era il Nome di chi aveva rinunciato alla divinità per essere calpestato dalle proprie creature, mostrando un'amore che l'uomo non aveva mai conosciuto: l'amore per i propri nemici.

Sì ricordò di quanto l'avesse sbeffeggiato e umiliato in quell'occasione per poi sentirgli pronunciare: «Acab, io sono qui per il nome di Gesù Cristo, per il nome che è al di sopra di ogni nome; perché Lui si è ridotto a niente per fare partecipe me- che l'ho rinnegato-della sua gloria. Il tuo signore non condividerebbe mai il suo potere con voi; il tuo signore non morirebbe mai per te, figuriamoci per un suo nemico. Ma Colui del quale porto il nome è morto per quelli che lo frustavano e lo trafiggevano. E io farò come Lui, Acab. Ricordalo.»

Allora erano risultate parole prive di senso, ma calde e ardenti tanto da marchiare i ricordi. Erano rimaste dentro, come un fumo fluttuante, fino al momento in cui avevano preso forma e sostanza.

No...No...Non puoi averlo fatto davvero!

Joshua si era sacrificato per il suo nemico, come quel Gesù Cristo che lui e gli altri cristiani predicavano da secoli.

Quel Gesù Cristo che Acab aveva combattuto fin da bambino si era incarnato di nuovo in un ragazzo della sua età e gli aveva mostrato quel che suo padre e la sua Loggia volevano nascondere all'umanità.

Un'azione, per Acab, così insana e folle da farlo stare male. In quel momento si sentì trafitto da un pugnale, chiamato senso di colpa.

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