26. Il Peso del Peccato Pt. III

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Scese le scale a passo lento, con occhi pesanti. Si massaggiò le palpebre con i polpastrelli tenendo gli occhiali nella mano sinistra e la spalla destra appoggiata al muro. Era come se prendersi cura di Acab significasse tornare indietro, a quegli occhi grigi che lo lasciavano da solo, sull'uscio di casa, con una bambina di quattro anni in lacrime.

Gilbert e sua moglie avevano deciso di vivere lontano dalla città, alle pendici del monte Aspro; l'unico collegamento alla città di Filadelfia era una strada tutta in discesa, ricca di curve, da cui si poteva ammirare il mare che incontrava il cielo all'orizzonte.

Un mese prima che la donna lo abbandonasse, Gilbert l'aveva notata compiere strani rituali. Sempre al solito orario, le due di notte, usciva furtiva nella veranda e pronunciava parole a lui incomprensibili, in ginocchio e con il capo a contatto con il suolo. La sua voce pronunciava parole in un linguaggio duro e oscuro.

Quando gli aveva chiesto spiegazioni, lei si era alterata, dicendo che era la sua vita e che a lui non doveva importare nulla. Dopo quell'episodio, la donna andava a lavorare il pomeriggio per ritornare in casa in mattinata. Lui, che si preoccupava ogni giorno di più della bambina- che iniziava a mostrare strani comportamenti a seguito di visioni notturne e attacchi di panico- si rivolse a Simon, suo storico amico d'infanzia e fedele seguace di uno dei Capi delle Sette Chiese.

Lo aveva chiamato per incontrarlo e parlargli della situazione che stava vivendo con la bambina e una volta arrivati alla Cappella di Filadelfia, Simon aveva incrociato gli occhi verdi della piccola Lucia, mostrandole un largo sorriso rassicurante.

«Cosa posso fare?»

Quel giorno, Gilbert e Simon si erano seduti a parlare in una panchina del Centro di Aggregazione annesso alla Cappella, ai cui gradini si era seduta la bambina, intenta a giocherellare con delle margherite colte poco prima.

Gli occhi azzurri di Gilbert studiavano il volto rilassato di Simon, cercando, invano, di investigare nei suoi pensieri.

«Starete qui.»

«Come?»

«Chiederò a Peter di accogliervi nel nuovo spazio dedicato ai dormitori. Sarà la vostra casa. Filadelfia sarà come una madre per Lucia e...» si voltò verso l'uomo con sguardo serio. «Per te.» disse, prima di alzarsi e dirigersi verso la bambina dai lunghi capelli dorati.

Gilbert l'aveva raggiunto e aveva osservato con tenerezza la scena che gli si stava presentando.

«Ciao, piccola.» Simon si era seduto accanto alla bambina, le braccia conserte sulle ginocchia. «Ti va di raccontarmi qualche sogno?»

Lucia aveva alzato gli occhi prima verso il padre e, vista l'espressione accondiscendente, aveva sorriso all'uomo dal volto leggermente barbuto e gli occhi nocciola. Nel volto paffuto le si era disegnato un sorriso furbo. 

«Tu sei come Lui!» 

«Lui? Lui chi?» 

«L'uomo buono che mi culla quando mamma e papà si arrabbiano!»

A Gilbert si era bloccato il cuore: la bambina aveva sempre ascoltato tutto e si era costruita un amico immaginario nelle difficoltà.

«Ah, sì? Beh...» Simon aveva fissato Gilbert come se già avesse compreso tutto, in un sorriso beffardo. «Mi diresti come si chiama?»

«Non lo so...Papà non vuole.» l'imbarazzo di Gilbert era diventato palpabile, le mani intrecciate sul capo.

Simon si era avvicinato alla bambina e osservando il papà sottecchi le aveva sussurrato: «Se me lo dici, prometto che non lo saprà nessuno. Sarà il nostro segreto.»

«Va bene!» e all'orecchio gli aveva confessato il nome di quel personaggio che Gilbert credeva fosse solo frutto della sua immaginazione.

«Il Regno di Dio è dei piccoli fanciulli. Io credo a tua figlia. Gesù Cristo l'ha protetta dalle grinfie della setta dei Lucifer, perché il suo cuore è così legato a te, da aver impedito alla madre di prenderla con sé».

Avevano camminato, tenendo d'occhio Lucia che faceva amicizia con un bambino dai capelli corvini e gli occhi azzurri. «Vedi quel bambino? Si chiama Caleb e anche lui è stato abbandonato dalla madre. Nel suo caso, la donna ha avuto un ultimo moto di umanità, prima di consacrarsi alle tenebre».

Gilbert aveva annuito e accettato la sua proposta.

Da allora Lucia confidava i suoi sogni solo a Simon; da allora Filadelfia era diventata casa, madre, custode, vita, e mentre rifletteva sul bene che aveva ricevuto incontrò la figura di Ariel, che si dirigeva verso le scale con lo sguardo attento sul vassoio contenente una ricca colazione.

«Ariel!» la chiamò, dopo che l'aveva oltrepassato. «Dove stai andando?» le sorrise di sbieco, con le mani ai fianchi.

Lei, con occhi sbarrati e labbra schiuse, tentò di articolare una spiegazione plausibile per celare la sua reale intenzione. L'occhio medico di Gilbert la osservò da capo a piedi: sicuramente Ariel non aveva curato correttamente le ferite che sanguinavano nella zona del ginocchio destro, coperto dal jeans largo - sicuramente utilizzato per non sfregare ulteriormente la zona dolorante - e del gomito incollato al cotone della maglia grigia a collo alto.

«Io...»

Gilbert alzò gli occhi al cielo in un profondo sospiro, arrendevole. «Stai solo attenta prima di aprire la porta. Dovrebbe essere ancora sotto la doccia.»

Ariel avvampò, annuendo un paio di volte, prima di mostrargli le spalle e salire i gradini che conducevano all'infermeria, in totale silenzio.

Una volta arrivata fuori dalla porta bianca, fissò il contenuto del vassoio, pentendosi delle sue scelte: «Avrei dovuto chiedergli, prima di arrivare qui!»

Il caffè fumante nella tazzina di vetro, esalava il suo profumo comprendo quello della torta di mele, preparata dalla instancabile cuoca della mensa del Centro di Aggregazione e il bicchiere di spremuta di arancia aveva lasciato qualche goccia sui tovaglioli. Mentre valutava di tornare indietro, la porta si aprì con sua enorme sorpresa.

«Ariel?» gli occhi spalancati di Acab la osservarono con stupore. «Che ci fai qui?» il sorriso cristallino, i capelli lisci a incorniciare il viso pallido, la voce profonda.

«Pensavo avessi fame!» gli porse il vassoio un uno scatto. Non capiva come mai stesse agendo in quel modo: era stata spinta dal desiderio di fargli capire che non era solo.

Il giovane che aveva afferrato il contenitore di pietanze, l'aveva invitata a entrare temendo l'arrivo di uno dei ministri di Simon.

Uccidila! Uccidili tutti!

Una fitta alla tempia, dopo il comando del suo signore, fece comparire una smorfia di dolore in quel viso che ad Ariel era sembrato decisamente diverso.

Lei, che appena le aveva aperto la porta aveva avvertito una strana sensazione all'altezza del petto e se n'era meravigliata, tentò di stargli lontana il più possibile, dirigendosi verso l'ampia finestra oltre il lettino, per non incrociare i suoi occhi.

Quella maglia bianca, i jeans chiari. Quel profumo di bergamotto...

Deglutì, scrocchiando le dita in maniera nervosa. Gli dava le spalle, ma dal riflesso del vetro, Ariel vide lo sguardo di Acab fisso su di lei.

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