21.IL POTERE DEL NOME (REV)

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«Vediamo come sta il nostro bel ragazzo dal nome quasi impronunciabile...» sospirò Lilith, facendo ascoltare i suoi passi che, con andatura militare, si dirigevano verso la cella di Joshua, posta poco oltre quella di Ariel.

Acab sapeva quel che sarebbe successo di lì a poco.

Si posizionò di fronte alle sbarre, stringendo e strofinando tra i palmi il ferro arrugginito fino a provocare lievi graffi.

La fissò, di nuovo, con i capelli che coprivano la fronte e parte dello sguardo glaciale.

Attese mentre la giovane Ariel lo implorava con gli occhi, negando col capo ciò di cui aveva avuto timore per tutto il tempo della sua prigionia.

Non appena le urla del ragazzo arrivarono alle orecchie di Ariel, un dolore la colse brusco nel petto.

Le urla di lui si fusero a quelle di lei.

Acab la vedeva torcersi al suolo, urlando il nome di Joshua, fino a ferirsi la gola ad ogni schiocco di frusta. Passò il tempo e, questa volta, il sangue del ragazzo fece capolino fuori dalla cella. Sfregò la fronte umida alle sbarre, respirando rumorosamente.

Alla porta del cuore sentì un bruciore lancinante, come se qualcuno glielo stesse graffiando.

La sua morte bussava alla porta.

Osservò Ariel, ancora una volta e, per un attimo, gli sembrò che i due fossero collegati, come membra di un medesimo corpo e che l'uno sentisse il dolore dell'altro nel medesimo modo.

Quel bruciore infiammò l'esofago nell'acido del timore.

Timore di quel Nome...

La ragazza stava contorcendosi al suolo, in posizione fetale, bevendo lacrime e gemendo per il suo fratello ritrovato e subito perso.

Il legame tra i due non aveva nulla a che vedere con rapporti umani carichi di interessi e scopi personali. Alla fine l'aveva visto solo per una settimana. L'aveva atteso, aveva pregato nel miglior modo che sapeva, anche se, forse, non era in grado di farlo nella maniera corretta. Per sette mesi una specie di vuoto accompagnò i suoi giorni a Filadelfia, in cui Simon e Lucia non facevano altro che confermare, con la loro presenza, la mancanza di qualcuno.

Sette mesi ad aspettare per poi ritrovarsi lì a piangere.

Poi, un particolare attirò la sua attenzione: in un punto imprecisato della cella, tra Acab e il centro del suo abitacolo, le ombre assunsero i contorni definiti di un aura celeste.

Così...Erano tutte menzogne...

Anche nell'ombra della morte, ci sei Tu...

Fissando gli occhi a quella presenza, Ariel fece forza sui gomiti; strisciò fino alla parete di pietra cercando un appiglio per alzarsi in piedi o, quanto meno, mettersi in ginocchio. E ci riuscì: si mise in ginocchio con la fronte premuta alla parete rocciosa, provocando una nota di stupore nello sguardo di Acab.

L'odore di muschio misto a quello metallico del sangue che permeava la parete, le fece rivoltare lo stomaco, mentre il freddo della roccia le intorpidì la guancia.

Rimase lì, quasi ad attendere che quella visione non fosse solo un sogno.

Acab, invece, ignaro di tutto, la fissava con la fronte aggrottata.

Lilith uscì dalla cella di Joshua recando tra le mani una frusta sudicia e gocciolante; passò oltre la prigione di Ariel incedendo come un militare, senza nemmeno spostare lo sguardo verso il fratello, che osservò la scia scarlatta lasciata sul pavimento.

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