23. La Possibilità dell'Impossibile Pt.II

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"In verità,
in verità io vi dico:
se il chicco di grano,
caduto in terra,
non muore,
rimane solo;
se invece muore,
produce molto frutto.

-Gesù Cristo


Quel momento di effimera umanità riconciliò il suo essere, quasi potesse avvertire la sensazione di avere un'anima, ma fu un'impressione momentanea.

I gradini di cemento grezzo erano diventati viscidi a causa dei liquami che fuoriuscivano dalle tubature arrugginite.

Il suono del sangue gocciolante: un ticchettio che occupava il suo udito e di cui, ancora, non si era sbarazzato.
In quel momento, non avvertì affatto la sensazione di essere in salvo, ma, al contrario, era ben conscio di essere sempre più vicino al suo Golgota.

Le braccia tremavano in spasmi incontrollati, quasi pronte a crollare sotto il peso del corpo di Ariel. Com'era possibile che lei non avvertisse ciò che gli stava accadendo?

Si bloccò, in bilico su uno dei gradini; ansante, madido di sudore che colava dalla fronte fin al mento; si appoggiò contro il muro, aumentando la frequenza del respiro.

La ragazza aprì gli occhi in un sussulto, avvertendo la sensazione di cadere nel vuoto; si strinse alle sue spalle per reggersi in un primo momento di timore, poi, saltò giù da quelle braccia che l'avevano sorretta così a lungo.
Fissò intensamente il volto afflitto di Acab: il respiro affannoso, gli occhi coperti dai capelli umidi.

Le mani erano strette alle spalle fin quando le lasciò scivolare sul suo petto; avvertì un battito prepotente e un respiro così accelerato da farle venire i brividi.

Lo osservò in silenzio, impotente: la testa che gli ricadeva all'indietro, le iridi assenti lasciarono il posto alla sclera; la mano sulla fronte, un capogiro che lo fece accasciare al muro, scivolando con le spalle per sedersi sui gradini; la sua pelle era diafana, le occhiaie evidenti e il respiro concitato era rumoroso in quello spazio claustrofobico.

Ariel gli si avvicinò. Si piegò sui talloni per scostargli una ciocca di capelli neri dal viso distrutto, cercando di infondergli un soffio di speranza attraverso una carezza. Col dorso della mano passò dalla fronte, alle tempie fino ad arrivare allo zigomo dove le sue dita furono intercettate da quelle di Acab, il quale condusse il palmo di Ariel sulla guancia, chiedendole, silenziosamente, di trattenere il più possibile quel contatto.

Lei fece un mezzo sorriso, avvolta da un senso di pietà e profonda gratitudine.

In fondo, l'aveva salvata e lei non aveva fatto altro che respingerlo.

Tuttavia, Acab sapeva benissimo di aver solo ritardato l'arrivo della sua fine. Chiuse gli occhi, con una sensazione di nausea al pensiero di quel che sarebbe potuto succedere di lì a poco.

Qualsiasi adepto, ribellatosi al volere del suo Signore, sarebbe morto in modi agghiaccianti. Per di più, lui non era un semplice adepto, bensì il figlio di uno dei Dodici capi del mondo.

I Dodici...rifletté.

Dodici uomini consacrati al potere luciferino, a cui era stato destinato il potere e l'influenza spirituale delle nazioni: a Judas era stato riservato un posto d'onore quale membro portatore di anime e persecutore dei cristiani. Lui, infatti, gestiva e organizzava le stragi delle comunità in varie zone africane e asiatiche, a volte compiendole in prima persona.

Nel suo compito era infallibile: circuiva donne cristiane dichiarandosi figlio di Dio e, facendo sempre attenzione a non nominare mai il Quel Nome, riusciva ad entrare nelle chiese come nuovo fedele; era così abile ad ammantarsi del ruolo del credente da riuscire a ricoprire anche alte cariche ministeriali, fino a quando non giungeva il momento dell'eliminazione dei Pastori portatori del Nome.

Come era successo nella chiesa di Filadelfia, d'altronde. In quell'occasione però, nonostante la morte del Pastore Peter, qualcosa era andato storto.

Subito dopo aver carpito l'anima del Padre spirituale, facendo credere ai paramedici di averlo trovato esangue nel suo ufficio, ebbe l'ordine perentorio di andare a trovare colui che avrebbe acquisito lo Spirito del suo predecessore. Il nuovo Mandato avrebbe avuto la capacità di sradicare il loro potere.

Lo spirito di quel Padre aveva dato problemi anche successivamente alla morte del corpo. Infatti, il Comando della Polizia di Filadelfia, indagando sulla morte di Peter, era riuscito a scoprire le azioni criminali dei Lucifer. L'indagine era stata condotta dal padre di Nathan.

Dopo aver attentato alla vita del figlio del Comandante - senza successo - Judas si era ritrovato di fronte al nuovo Mandato, avvolto dalla protezione, non di uno, ma di ben tre arcangeli.

No, non era finita lì, Acab ne era certo. Judas sarebbe tornato in vita per opera di Satana in persona, per finire ciò che aveva iniziato; sarebbe diventato immortale o, almeno, era quello che si raccontava.

Fece un lungo sospiro e tentò di alzarsi, oppresso dalle urla degli spiriti di anime dannate che gli ricordavano quale sarebbe stata la sua fine. Ariel lo vide serrare le palpebre in una smorfia di dolore e tapparsi le orecchie per poi iniziare a scalare l'ultima rampa. Lo seguì, stringendosi nelle braccia nude, tremante, con il cuore ammaccato e la voce assente, quasi le fosse scomparsa dopo aver urlato il nome di Joshua.

A quella considerazione, un flash: il suo sogno.

Ricordò come il suo urlo fosse stato simile al grido della donna avvolta dal manto nero che pronuncia a in lacrime il nome di Yehoshua.

Una specie di rivelazione le giunse potente come un lampo che illumina un cielo tempestoso: Simon e Joshua erano simili. Gesù Cristo era in Simon; Gesù Cristo era in Joshua. Entrambi erano portatori di quel Nome.

Poi, il braccio sinistro di Acab le apparve teso a pochi centimetri dal suo naso, per bloccare il suo passaggio su un gradino sdrucciolevole.

«Non ce la faremo, Ariel.»

Il tono rassegnato e cupo di Acab le provocò una fitta al torace; il capo del giovane era chino in avanti, gli occhi erano fissi su un numero indecifrabile di serpi poste sugli ultimi gradini che li avrebbero condotti alla libertà; le osservò, sentendo montare nelle vene un terrore che gli paralizzò gli arti; gli animali si aggrovigliavano tra loro, mordendosi a vicenda, facendo udire il sibilo delle loro lingue e lo strusciare delle loro squame.

Il respiro di Acab ritornò ad essere concitato e la schiena si muoveva vistosamente al suono rumoroso del suo soffio. Alle sue orecchie, l'ansito sembrava essere rinchiuso in un'ampolla di vetro; il sangue pompava rapido alle tempie pronto a fargli esplodere la testa. «Ariel...» sussurrò in tono grave e quasi spezzato. «Perdonami... Ma non ci riesco».

Ariel non capì e, scuotendo la testa, si impegnò nel vano tentativo di scoprire i motivi del suo improvviso stato di terrore: tentò di osservare oltre la sua figura che in quel momento pareva imponente coperta com'era dal mantello nero, sul gradino superiore.

«Non posso salvarti...»

La voce spezzata, quasi fosse sul punto di piangere, le annientò ogni difesa, rendendola incapace di proferire suono. Poi si voltò e lei poté osservarlo dal basso: gli occhi scuriti, spenti, persi.

Fremiti incontrollati resero la voce un sussurro flebile e inconsistente: «Dimmi cosa succede...» una lacrima le solcò il viso inespressivo. «Ti prego...» aggiunse.

Le braccia di Acab la avvolsero in un abbraccio. «Te lo dirò, non prima di confessarti ciò che provo...»

Gli occhi di Ariel si sbarrarono fin all'inverosimile, preda di un'emozione che le bloccò l'aria in gola.

«Devo dirtelo prima che tu perda la vita a causa mia.»

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