25. UN ALTRO AMORE

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La giornata era diventata grigia, coperta da nuvole piene d'acqua pronte a bagnare i pensieri e gli animi tesi come corde di violino.

Nathan fissava quel cielo con la fronte aggrottata, mentre il mare schiumava contro la costa. In quel momento, sussurrò al vento un pensiero:

«"Un giorno è come mille anni e mille anni è come un giorno"»

Mentre Ariel era intenta a ripararsi come poteva dal vento che soffiava via via più prepotentemente, si accorse della filastrocca pronunciata dalla bocca di Nathan. «Cosa vuol dire? E' un indovinello?»

Nathan si girò a guardarla, per poi ritornare intento sulla rena, sospirando. «Non è un indovinello. Sto solo ipotizzando quello che sia potuto succedere alla luce delle Sacre Scritture.» Roteò il busto nella sua direzione. «E' complicato Ariel. Anche per me.»

Il volto di Nathan si scurì.

A volte, sono le cose semplici ad essere le più incredibili.

Volgendo lo sguardo verso l'auto ferma, vide Acab che si stava dirigendo verso di loro, con le mani nelle tasche dei jeans neri, scoloriti e strappati.

Lo osservò, constatando quanto in quel momento apparisse piccolo, indifeso ed irrimediabilmente sconfitto. Quella canottiera bianca, sporca di sangue, purtroppo era la sua carta di identità.

I capelli neri gli coprivano il volto e, mossi dal vento, non riuscivano a celare il suo disagio: palpabile come lo è di chi non è ben accetto in una conversazione.

Nathan stirò le labbra in un sorriso tiepido mentre Ariel non aspettò molto per interrogare Acab con voce tagliente: «Quanto è passato?»

Lui, che non aveva ascoltato nulla, si sforzò di comprendere che piega avesse preso quella conversazione, cercando di capire a cosa si riferisse. Lo sguardo interrogativo si posò prima su Nathan e poi su di lei. «Come, scusa?»

Nei tremori, strette le braccia al petto, Ariel ripeté spazientita: «Quanto tempo è passato nel tuo mondo, Acab? Perché siamo a Filadelfia, ma nel mese di Ottobre?»

Acab abbassò gli occhi. Si dondolava da un piede all'altro per mascherare la sensazione di freddo, come se tutto, compreso il creato, andasse contro di lui. Si strofinò le mani e poi scrocchiò le dita. «Ci sono delle cose che nemmeno io comprendo.»

La guardò in una smorfia di fastidio quando un raggio che tagliava le nubi colpì le sue iridi, facendole diventare trasparenti. «Una di queste è che, per alcuni prigionieri, per una sorta di ordine prestabilito, il tempo scorre molto lentamente. E mentre il mondo naturale compie i suoi giri, noi siamo costretti a rallentare le nostre attività» fissandola torvo «per causa vostra

«Nostra?!» lo sguardo le si infuocò di rabbia.

In quel momento Nathan vide come ogni avvenimento stava posizionandosi nel punto preciso di un puzzle. «Ma certo!» batté il palmo nella ringhiera del parapetto. «Per colpa dei figli di Dio, Ariel.»

I due non fecero in tempo a capire le intenzioni di Nathan, che dovettero iniziare a correre per raggiungere il suo passo diretto verso l'auto. «Andiamo!» gli urlò quasi dentro abitacolo. I due lo seguirono a grandi falcate.

«Quindi sono passati tre giorni? E' così, Acab?»

Ariel aveva bloccato la mano di Acab che, raggiunta la macchina, le stava per aprire la portiera. La guardò stupito un istante prima di serrare la mascella e mostrare uno sguardo terribilmente serio.

«Sì.»

La macchina partì nello stridio delle ruote contro l'asfalto.

«Sapete una cosa? Credo di aver capito quello che vi è successo.» la voce entusiasta di Nathan occupò prepotente i loro pensieri, mentre lui teneva gli occhi fissi sul rettilineo dell'autostrada, col cuore già lanciato verso il Centro di Simon.

I due si sporsero in avanti per ascoltare.

«E' Gesù Cristo che ha deciso così. E' successo come quando è stato tre giorni nell'Ades dopo la sua crocifissione.»

«Come?!»

«Il vostro Dio nel nostro mondo?» domandò Acab, con un sopracciglio alzato. «E' impossibile. Nessuno mi ha mai detto una cosa del genere!»

«Punto primo: di certo non mi risulta che la tua famiglia abbia interesse a dirti la verità, Acab. Secondo: ebbene sì, Gesù Cristo - il nostro Dio- è morto per tre giorni mondani, ma nello Spirito erano passati tre... tempi, diciamo così. Questa è una rivelazione di Simon. Lo ha spiegato tempo fa, in occasione della Pasqua.»

«Io continuo a non capire» sbottò Ariel, schiacciando la schiena nel sedile e guardando oltre il finestrino con le braccia incrociate al petto.

Acab la guardò per un istante per poi sporgersi nuovamente verso il sedile anteriore con un gomito sul sedile dell'autista. «Quindi» rivolgendosi a Nathan, «mi stai dicendo che...» avrebbe voluto dire quel Nome, ma qualcosa sembrava bloccarlo nell'articolazione di quelle due parole «che il vostro Dio è sceso negli inferi?» Nathan avvertì un'energia positiva colpirgli il petto al sentire quella domanda. «Perché?»

Sorrise allo specchietto retrovisore, incatenando lo sguardo interrogativo di Acab.

«Sta scritto che Gesù Cristo è sceso fino alle parti più basse della terra per riempire ogni cosa.»

Le gocce trasparenti che iniziarono a rigare i vetri dell'auto suggerirono al ministro l'uso di una parabola per spiegargli ciò che il suo Salvatore aveva compiuto. «Vedi la pioggia? Proprio come l'acqua che scende dal cielo e non torna indietro se non prima ha annaffiato ogni terreno per  creare delle fonti nuove e ricominciare il suo ciclo di vita, Lui ha fatto così...» si bloccò giusto il tempo di guardare Ariel con gli occhi mutati in un'espressione di commozione.

«L'ha fatto per salvare tutto, Acab. L'ha fatto per salvare tutti.»

L'ha fatto per salvare tutti...

Alla luce di quello che aveva vissuto, le parole di Nathan assumevano un peso non indifferente per il cuore di Acab.

L'unica cosa che non riusciva a comprendere era come mai quel Gesù Cristo si era così tanto sforzato di riproporre la sua venuta solo per lui.

«Tutte le anime che credono in Lui sono come figlie uniche. In pratica, come dice sempre Simon» si girò verso di lui per guardarlo negli occhi. «Se tu fossi stato l'unico sulla faccia della terra, Gesù Cristo sarebbe morto... solo per te.»

Ci impiegò qualche istante per immagazzinare quella tremenda informazione; il cuore palpitante, gli occhi bassi e un nodo difficile da mandare giù e di nuovo un cristiano che rispondeva ai suoi quesiti nascosti. E' di famiglia, a quanto pare.

Una Chiesa quella di Filadelfia che, effettivamente, assumeva tutte le connotazioni di una grande famiglia allargata, con il fratello che ti fa i dispetti, il piccolo che va dal padre a lamentarsi e le zie che fanno a gara a chi cucina meglio.

Acab non aveva tutti i torti.

Proprio lì, Lucia, che aveva ricevuto il messaggio di Nathan del loro arrivo, correva nel lungo corridoio dei dormitori per giungere allo studio di Simon. Prima di arrivare alla porta e bussare, quella si aprì di colpo, facendo sussultare la giovane. Lo sguardo perplesso di Simon incontrò quello stupito di Lucia e, in un largo sorriso, entrambi iniziarono a percorrere le scale, senza nemmeno porre attenzione ai gradini. Nella discesa fu inevitabile incontrare Heliu che stava facendo il percorso inverso per chiamare Lucia.

La volante che recava l'insegna della Polizia di Filadelfia era appena fuori il cancello grigio. 

Ariel, alla vista della struttura di Filadelfia, fu colta da un profondo senso di gratitudine e di sconforto al tempo stesso. Come faccio? Si chiese, mordendosi il labbro per reprimere il pianto. Come faccio a guardarti nuovamente negli occhi?

Temeva la reazione di Simon, ma sicuramente meno di quanto la stesse temendo Acab, stretto nelle braccia e inchiodato al sedile posteriore. 

Uno dei sette mandati. Uno protetto da tre angeli delle schiere celesti.

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