10 - telefonata allarmante

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Erano passate solo un paio di serate dal processo e già non la sopportavo più. Non aveva provato più ad avvicinarsi ai miei consorti, ma le occhiate sognanti c'erano e io continuavo ad essere arrabbiata con lei per quello che aveva già fatto, ed il fatto che non era in grado di fare nulla aveva costretto Ivia ad affidarle il compito di accogliere gli ospiti e rispondere al telefono, così ogni volta che arrivava qualcuno o che ricevevamo una telefonata, che fosse Darius, un anziano, uno dei generali o dei comandanti che dovevano parlare con Tyr, quando era a casa, o un messaggero o un qualsiasi altro ospite, me la ritrovavo davanti.

Trassi un lungo sospiro di sollievo, in quel momento ero nel mio studio, che era situato nella zona in cui lei non poteva entrare e, controllare la pila di carte che mi aveva messo davanti Cornelia, non mi sembrava poi tanto brutto, anche perché dovevo solo controllare che i dati che avevo sul computer fossero gli stessi che apparivano su quei fogli. Un compito facile. Impiegai mezz'ora per ultimarlo. Poi entrai nel conto corrente del casato, presi una lista, quella degli affittuari e cominciai a controllare chi avesse già versato l'importo dell'affitto, era il primo di luglio, quindi restavano alti tre giorni per pagare. Con mia somma gioia scoprii che molti avevano già versato le somme pattuite. Chiesi a Cornelia di portarmi un bicchiere di vino, prima di mettermi a controllare i conti di alcune delle nostre attività e lei uscì con un sorriso quando squillò il telefono. Impiegai un istante per portarmi la cornetta all'orecchio "Si?" chiesi, non erano in molti ad avere quel numero, perché a dispetto delle apparenze, molti tra i miei affittuari erano dei vecchi, che vivevano ancora nel rinascimento e il telefono non era uno dei loro mezzi di comunicazione preferiti, così mi ritrovavo a dover usare poco il telefono ed il computer e molto i messaggeri. "Sono Bruno, c'è un problema al locale" mi disse la voce conosciuta dell'unico locale che non avesse bisogno di presentazioni, quello di Kirian. "Che succede?" chiesi sinceramente sorpresa. Era la prima volta che il buttafuori, facente funzioni di portavoce dei dipendenti con me, mi chiamava. "Ho aspettato un po' prima di chiamarvi" ci spiegò "Perché credevo di poter gestire la situazione, ma stasera sembra particolarmente problematica..." lasciò la frase in sospeso, sentii dei bisbiglii e poi un sospiro dell'uomo "Che succede?" ripetei la domanda sperando in un chiarimento veloce, lo ebbi "È una settimana che arriva un'umana, insiste per vedervi. Sta fuori tutta la notte urlando contro chi è di turno che vuole vedere il capo. Come sempre l'abbiamo allontanata, ma oggi ha detto qualcosa che non avrebbe dovuto sapere" specificò prima di abbassare la voce, dai rumori di sottofondo qualcuno gli si era avvicinato "Ha detto che lei pretendeva di parlare con il capo, che conosceva il suo segreto e che io dovevo solo obbedire, perché sono un senza casato..." non aveva bisogno di dire altro, rimasi letteralmente a bocca aperta, per una ventina di secondi, poi il mio cervello ricominciò a funzionare e riuscii a chiedere "Sicuro che abbia detto proprio senza casato?" chiesi sbalordita. Nessuno degli umani con cui avevamo a che fare nelle città aveva una così ampia conoscenza della nostra società, e nessuno di quelli che lavorava e dimorava con noi avrebbe fatto una cosa del genere, avevano frasi precise da dire per identificarsi, non avevano bisogno di fare piazzate fuori da un locale per una settimana. L'unica cosa che mi veniva in mente era che non riuscivo a capire cosa stesse succedendo "Certo, lo ha ripetuto più di una volta" affermò con voce irosa "Ora dimmi che cosa devo fare, perché non credo che ucciderla sia un buon piano e al momento è fuori che continua ad urlare" concluse, aspettando una risposta. Non c'era molto che potessi fare "Portala in ufficio, arrivo subito" l'istante dopo sull'altro capo della linea non c'era nessuno. Poggiai la cornetta e sospirai, quella si che era una questione spinosa. Mi alzai e corsi in camera, per raggiungerla impiegai meno di un secondo, aprii l'armadio ed estrassi un vestito nero semplice, presi dei sandali a tacco alto neri, afferrai la borsa, e posai tutto sul letto, mentre gridavo "Grigori" sarebbe stato impossibile per il guerriero non sentirmi. Infatti arrivò correndo, accompagnato da Cornelia e i gemelli, i quali avevano la serata libera. "Che succede?" chiese mentre mi sfilavo la maglietta dalla testa "Cambiati, dobbiamo andare in città, Bruno mi ha chiesto di passare a controllare una cosa" affermai, scendendo i pantaloncini di cotone rosa antico che indossavo "Partiamo subito" aggiunsi. Il guerriero mi fissò per un lungo istante, che io usai per infilarmi il vestito, poi sparì, era andato a cambiarsi. Di certo non sarebbe potuto venire vestito come uno appena uscito dal set di un film su qualche guerriero del medioevo, perché i suoi indumenti di pelle, quella notte, sembravano usciti proprio da quell'epoca. "Veniamo con voi" affermò Orin, mentre mi aiutava a chiudere la cerniera del vestito "È la vostra serata libera" gli ricordai sorridendo, gli ero grata per quella premura "Fare un salto al locale mi sembra un buon modo di passare la nottata" affermò. Non potevo dargli torto. "Prepariamo la macchina?" chiese Difin, li guardai più attentamente, anche loro vestivano di pelle nera, ma il loro abbigliamento era decisamente più moderno e gli donava tantissimo "No, se correremo ci metteremo molto di meno e io devo tornare per dare da mangiare ai bambini" affermai, "Posso farlo io" propose Cornelia, lo apprezzai "Se farò tardi, sarà esattamente quello che succederà" le sorrisi. Era impressionane quanto fossero cresciuti in quegli ultimi giorni. Avevano imparato a camminare e avevano smesso di alimentarsi solo con il latte, ora mangiavano, così dovevamo fargli ingerire il latte con il nostro sangue solo una volta ogni dodici ore e potevamo usare i bicchieri, non dovevamo più imboccarli. Entrai in bagno e mi spazzolai i capelli, mi misi un leggero strato d'ombretto nero, un po' di rossetto rosso bruciato, afferrai la borsa e mi diressi verso il giardino posteriore, dovevo salutare i bambini prima di uscire. Lì trovai Grigori, intento a salutare Becca, che come gli altri bambini che vivevano li, passava gran parte del tempo a giocare nel giardino sul retro, sotto il controllo vigile di almeno due mercenari e di due persone di mia fiducia, in quel caso di entrambi i curatori e di Ginevra che era venuta a trovarci con il fratello e il suo uomo. Non ci dilungammo nei saluti, non saremmo stati via per molto e i bambini lo sapevano, inoltre non vedevano l'ora di tornare a giocare.

Non erano passati neanche dieci minuti da quando avevo ricevuto la telefonata a quando cominciammo a correre.

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