23. Humanity

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New York.
Hope aveva sempre sognato di visitarla e, fino ad un mese prima, contava di farlo presto, andando a trovare la sua migliore amica che, sperava, avrebbe deciso di accettare la borsa di studio lì, nella più illustre scuola di danza degli Stati Uniti. Ora, invece, seguendo Thor a testa bassa, si chiede se mai Angel potrà avere la possibilità di riprendere quella vita, di tornare ad essere una ragazza normale, il cui problema più grande sia quello di scegliere tra il college dei suoi sogni o quello di veterinaria, in Texas, per seguire le orme di suo nonno e non deluderlo.
-Avvicinati.- le intima il dio del tuono, impugnando con un po' troppa decisione Mjolnir e iniziando, per questo, ad ottenere occhiate spaventate e dubbiose delle poche persone sul marciapiede che, preoccupate, si allontanano.
Certo, probabilmente di lì ad un minuto la situazione sarebbe cambiata; qualcuno, vedendo un armadio pieno di muscoli dai lunghi capelli biondi e vestito da festival del medioevo, ne avrebbe intuito l'identità e, invece che spaventarsi, lo avrebbe rincorso, come si farebbe con il proprio attore preferito.
-Che hai intenzione di fare?-.
-Volare, dobbiamo arrivare alla Stark Tower.-.
Come non detto.
-Thor, non mi pare il caso, la gente ci sta fissando. Se ti mettessi a dare spettacolo in pochi minuti saresti su un notiziario e si scatenerebbe il panico.-.
-Ma io non ho intenzioni ostili.-.
-Questo lo so bene, ma l'ultima volta che i newyorkesi ti hanno visto è stato perché tuo fratello ha fatto una strage.-.
Lui non risponde, si limita a serrare la mascella, volgendo lo sguardo verso il cielo e, senza troppa difficoltà, la ragazza comprende di aver toccato un tasto ancora molto dolente, così, leggermente a disagio e alla ricerca di un qualsiasi aiuto nell'ambiente circostante, volge la sua attenzione verso la strada, soffermandosi su una delle macchine gialle più famose del mondo.
-Possiamo arrivarci in taxi.- propone poi.
-Cosa dovrebbe essere?-.
-Ehm...te lo spiego mentre andiamo, seguimi.-.

Durante il tragitto, ben più lungo del previsto a causa del traffico, l'agente ha rischiato più di una volta di perdere la pazienza: il conducente ha dato quasi di matto riconoscendo il semi-dio, prendendo a fare domande senza sosta, tanto da portare Hope a desiderare immensamente di piantargli un proiettile in testa, mentre Thor, al contrario, sembrava divertito e fiero dagli elogi di quel tipo singolare.
Meglio, magari non mi farà spendere un capitale, ha pensato la giovane, cercando di trovare qualcosa di positivo in quelle chiacchiere inutili, mentre il tassametro continuava a scorrere, nel loro viaggio fino alla torre che, il ragazzo alla guida, ha precisato chiamarsi "Avengers Tower", ora.
Come se non bastasse, prima di potersene stare un paio di minuti per i fatti suoi, a studiare ogni minimo dettaglio al di fuori del finestrino, ha dovuto raccontare una storia assurda e poco credibile sul motivo che vede Thor nella grande mela, prima che quest'ultimo si tradisse con la verità. Lei, però, è ben cosciente di essere pessima nell'inventare scuse e, inoltre, odia intrattenersi con gli sconosciuti.
In fin dei conti, comunque, non può far altro che ammettere a sé stessa di aver avuto l'idea migliore, in quanto, se avessero optato per la metropolitana, avrebbe dovuto placare molte più persone e, probabilmente, qualcuno di un po' più sveglio di quel taxista avrebbe compreso il suo arrampicarsi sugli specchi.
Ovviamente, quando ha seguito il dio del tuono da Heimdall, il guardiano di Asgard, ascoltando il racconto di come fossero riusciti a ricostruire il ponte dell'arcobaleno, detto Bifrost, con l'energia del famoso Tesseract, lei ha ringraziato la sua esperienza allo SHIELD, perché, altrimenti, non sarebbe riuscita a seguire nemmeno una parola di quell'intricato racconto pieno di nomi estranei al suo vocabolario. Non immaginava che dopo quel mezzo secondo di "viaggio" ultra-dimensionale si sarebbero trovati, invece che a destinazione, in un deposito abbandonato, ma la spiegazione di tale scelta è venuta da sé, appena la ragazza ha osservato l'enorme cerchio di terra bruciata sotto i loro piedi, pieno di dettagli somiglianti a decorazioni astratte o ai famosi "cerchi nel grano" attribuiti agli alieni.
Beh, in un certo senso, si tratta esattamente di questo, aveva pensato lei, sorridendo e lasciandosi quel posto alle spalle, nella speranza che nessun altro visitasse quel luogo, almeno fino a che il terreno non riprenda i suoi colori originari.
Tra un pensiero e l'altro, fissando fuori dal finestrino, finalmente nota la loro destinazione, decisamente più maestosa di quanto si aspettasse.
-Si può fermare qui.- comunica la giovane al conducente, osservando la vicinanza della torre in linea d'aria e il traffico bloccato davanti a loro.
Senza attendere ulteriormente, allunga una banconota nella fessura tra i sedili dietro e quelli davanti e, invitando il ragazzo a tenere il resto, fa cenno all'asgardiano di seguirla.
-Mi piaceva quel ragazzo.- sorride il biondo, gonfiandosi il petto, dopo un paio di minuti di silenzio.
-Non fare la prima donna.- ironizza Hope, rendendosi conto di non aver più pronunciato parola, tanto era concentrata verso il suo obiettivo, ora a pochi passi da loro.
-Cosa vorrebbe dire?- domanda lui, confuso, per poi alzare lo sguardo e trovarsi davanti due armature che, dai lati di un enorme ingresso vetrato, gli si parano davanti.
-Point Break, benvenuto all'Avengers Tower, informeremo il Signor Stark del suo arrivo.- pronuncia una di loro, con voce meccanica, costringendo la giovane a trattenere una risata, a causa del soprannome con cui quelle macchine sono state programmate a chiamarlo.
Il biondo cambia la sua espressione in un sorriso imbarazzato, portandosi una mano tra i capelli e guardando Hope con la coda dell'occhio, solo per confermare la figuraccia che era già sicuro di aver fatto. La prima volta che Iron Man lo aveva chiamato in quel modo non ci aveva fatto caso, ma poi Barton si era preoccupato di spiegargli il significato e, ora, ha ben chiara la presa in giro.
-Signorina, lei non è autorizzata ad entrare.- incalza l'altro robot, posizionato davanti alla terrestre, attirando l'attenzione del semi-dio.
-Lei è con me.-.
-Per ragioni di sicurezza, nessuno al di fuori dei soggetti indicati dal Signor Stark è autorizzato ad accedere alla struttura.-.
-Senti, diabolico ammasso di ferraglia, se non vuoi diventare un appoggia-piedi, ti consiglio di...-
-Vi autorizzo io. Fateli entrare.-.
Una voce, calda e sicura, interrompe la minaccia di Thor che, subito, abbassa la guardia, cambiando la sua espressione arrabbiata in un sorriso sincero, mentre la povera Hope è costretta a fare un passo indietro, per non rischiare di cadere, tanta è la sorpresa.
-Capitano!- esclama il semi-dio, salutando con una stretta di mano cameratesca il compagno di avventure.
-Thor, che piacere.- risponde l'altro, in modo impeccabile, come sempre.
-Perché queste macchine a te danno ascolto?-.
-Stark li ha programmati in questo modo.- taglia corto l'altro, cercando di restare impassibile, ma celando a fatica un'omissione importante in quelle parole, tradita dalla sua tensione, visibile grazie alle vene, ora più definite, che scorrono sui suoi avambracci incrociati al petto, lasciati scoperti da una camicia a quadri vagamente rétro e risvoltata fino ai gomiti.
Hope ha imparato anni prima ad analizzare ogni particolare delle persone e sa per certo che, persino quelle più attente, come lui, non riescono a nascondere completamente col linguaggio corpo ciò che hanno dentro.
Poi beh, è stato più che automatico per lei studiare l'uomo che da sempre ha seguito come esempio, il suo idolo, forse anche per essere sicura che sia reale. Si era preparata a quell'incontro o, almeno, ci aveva sperato, immaginando il momento in cui gli avrebbe stretto la mano, presentandosi come un agente dello SHIELD, fiera di lavorare per lui, ma, adesso, che lui è lì davanti, con la sua postura perfetta, il fisico statuario, il fascino d'uomo di altri tempi, i capelli biondi, più corti rispetto all'anno prima, quando lo aveva visto combattere contro Loki e il suo esercito, e degli attenti occhi blu, lei rimane immobile, con la bocca semi aperta, nella speranza che qualche parola si manifesti, come per magia.
-Perdona la maleducazione. Steve Rogers, molto lieto di conoscerti.-.
Quella frase costringe Hope a sbattere un paio di volte le palpebre.
Talmente persa in quelle iridi del colore del cielo, non si è nemmeno accorta che Captain America si è avvicinato a lei e, con un sorriso, ha allungato la mano nella sua direzione.
Stringendo le sue dita e rendendosi conto che le sue, a differenza dell'altro, sono congelate, ad un tratto, spera che una voragine si apra sotto di lei, inghiottendola, a causa della figura da ragazzina fanatica che sta facendo.
-Agente 965, al suo servizio.- pronuncia lei, tutto d'un fiato, sottraendo la mano, nella vana speranza di nascondere tutta quella tensione, senza nemmeno accorgersi che il suo cuore si è dimenticato quale sia la funzione che deve svolgere.
-Fai parte dello SHIELD, così giovane?- domanda lui, allontanandosi leggermente e sciogliendo le braccia lungo i fianchi, nel tentativo di metterla a suo agio.
-Sì, signore. Grazie a mio padre.-.
-E qual è il tuo nome?- chiede Steve, con un lieve sorriso, nella speranza di far capire alla ragazza che non la licenzierà nel caso dovesse scapparle una parola di troppo.
-Mi chiamo Hope Coals.-.
-Bene, Hope, ti prego di chiamarmi Steve e di darmi del tu, non sono così vecchio...più o meno.- le concede lui, con auto-ironia, mantenendo la sua espressione gentile, per poi voltarsi, facendo cenno ad entrambi di seguirlo.
La giovane abbassa lo sguardo per nascondere un sorriso; ovviamente non può capirlo, nessuno potrebbe, ma conosce la sua storia, quella del suo personaggio, almeno, e ora che lo vede, riesce già a cogliere che Steve Rogers è molto più di Captain America. Oltre la sua espressione fiera e il comportamento impeccabile, i suoi occhi, azzurri e limpidi, non riescono a nascondere una sfumatura triste, un piccolo tremore, a dimostrazione che, al di là della leggenda, vi è un uomo come altri, un giovane, catapultato da un momento all'altro in un mondo totalmente diverso dal suo, dove le persone a lui care hanno già vissuto una vita, la stessa che a lui, al ragazzo di Brooklyn, Captain America ha permesso di scorgere per un attimo, per poi portargliela via.
-Qual è il problema, Capitano? Questo regno mi è parso piuttosto sereno, almeno da quello che ho potuto cogliere nei pochi momenti trascorsi dal mio arrivo.-.
Rogers continua a camminare per qualche metro, per poi fermarsi davanti ad un enorme ascensore trasparente, dalle sole guide in acciaio, e premere il pulsante con il numero "0" impresso, che subito si illumina di rosso.
-Stiamo cercando di contenere il problema, per evitare il panico.- incalza, lo sguardo serio, fisso davanti a sé, mentre le porte dell'elevatore si aprono e lui permette ai suoi compagni di entrare per primi, per poi seguirli.
-Stark ha comprato svariate strutture in tutto il mondo. Lo SHIELD e le armature che sta costruendo le gestiscono, raccogliendo e assistendo i malati.-.
-Malati?- domanda Thor, mentre Hope sente già il cuore in gola.
-Ve lo mostro. Forse potrete dire voi a me, di cosa si tratta.- continua Cap, non tentando nemmeno di nascondere la sua preoccupazione, mentre si fermano al piano "21".
-Dov'è Stark?- chiede il semi-dio.
-Io...non lo vedo da giorni, non vuole nessuno, nemmeno me.- ammette il soldato, marcando particolarmente le ultime due parole.
-Perché mai?-.
-Lavora. Per migliorare le sue armature da combattimento e produrre sempre di più di quelle che avete visto all'ingresso. Ha dovuto ricominciare da zero e, in più, non lascia mai la Signorina Potts da sola.-.
-Non mi pareva che lei avesse bisogno di qualcuno che le dica cosa fare, dai racconti di Stark.- ironizza Thor, nel tentativo di alleggerire un po' la chiara tensione nell'aria, mentre continua a seguire il Capitano, attraverso corridoi freddi e vuoti.
-Si è ammalata anche lei, Thor.-.
Lo dice senza voltarsi, ma con un tale trasporto, da far quasi percepire il dolore di Tony come fosse il suo.
L'ultima volta che l'asgardiano li ha visti insieme, non facevano altro che darsi contro e, dato che, apparentemente, sembrano diversi come il giorno e la notte, lui pensava che il loro rapporto non potesse essere diverso da così. Ora, però, che anche il dio del tuono ha passato un po' di tempo con gli umani, ha imparato a capire molto meglio gli animi e sa, che pur con il suo comportamento da gradasso pieno di sé, forse, quello che si fa chiamare Iron Man, è il più fragile di tutti loro. Colui che ha dovuto sopportare più pesi da solo, più pressioni, quello che, grazie alla sua intelligenza, è riuscito ad andare avanti e a tener testa a loro che, invece, non sono esattamente esseri comuni.
Sicuramente questo, il Capitano, che possiede una sensibilità decisamente più spiccata della sua, lo ha capito da tempo, tanto da arrivare, ora, ad empatizzare, o forse, addirittura a sentire, la sofferenza di Tony che, dopo tanti anni di solitudine e maschere, aveva finalmente trovato l'amore.
-Come ha fatto? Io immagino che il Signor Stark abbia assicurato a tutti voi un ambiente al sicuro da virus.- si intromette Hope, notando i due chiaramente persi nei loro pensieri.
-Non sembra un virus, non pare trasmissibile. Colpisce le persone più deboli, per ora almeno.- risponde Steve, entrando in una stanza modesta, con la parete di fronte a loro coperta di schermi e alcune sedie accostate ad una lunga scrivania.
-Mesi fa, Stark ha fronteggiato un vecchio rivale che, per ferire lui, ha usato la signorina. Non ho ben capito di cosa si trattasse, ma mi pare si chiamasse Extremis il programma con il quale l'hanno infettata. Tony non ci ha messo molto a curarla, ma lei era ancora piuttosto provata.- si spiega meglio, anticipando i loro dubbi.
-JARVIS, puoi mostrarci qualche video della malattia, per favore?-.
-Certamente, Capitano.- risponde una voce maschile e neutra, dal nulla, accendendo immediatamente gli schermi davanti a loro e proiettando vari filmati diversi.
Inconsciamente, la giovane inizia a stringere con forza i braccioli di plastica nera della sua seduta, trattenendo il fiato: mai nella sua vita ha visto qualcosa di simile, che non fosse in un film dell'orrore, almeno. In quelle immagini compaiono persone di ogni tipo, dai bambini agli anziani, con volti sfigurati in espressioni iraconde, occhi iniettati di sangue e cerchiati da occhiaie scure, pelle dal colore innaturale, quasi giallastro, spesso segnata da ferite aperte. In tutto questo, armature a cercare di fermare la loro furia, mentre, come se non gli importasse di combattere contro esseri fatti d'acciaio, questa gente cerca con le unghie e con i denti di ferirli, ma, se gli androidi riescono ad evitare i morsi, per non far rimettere a nessuno i denti, lo stesso non possono per i graffi; chiaro dalle dita insanguinate che ne conseguono. Nessuna di quelle persone sembra sentire dolore, nonostante continuino tutti ad urlare parole sconosciute ed incomprensibili, spesso con voci disturbanti e inumane, muovendosi, nel frattempo, in modi spaventosi, sfidando possibilità che, un corpo, nemmeno dovrebbe avere. Con fatica non indifferente, finalmente i protettori progettati da Stark riescono a placare la loro pazzia, assicurandoli a forti strutture di metallo, evitando che i viventi si facciano troppo male nell'opporre resistenza.
Così finiscono quei filmati: mostrando esseri umani legati come bestie feroci, che tentano inutilmente di attaccare, per poi abbandonarsi a risate terrificanti e posture innaturali una volta lasciati soli.
-Hanno provato a sedarli in ogni modo. Nulla sembra funzionare.- esordisce il Capitano che, a differenza degli altri, non si è nemmeno seduto.
Gli occhi dei due visitatori sono ancora incollati sugli schermi, ormai spenti, incapaci di muoversi, o anche solo svegliare le proprie menti da quegli orrori; Hope sta cercando una spiegazione a ciò che ha appena visto, ma tutto quello che le viene in mente è solo apocalittico, spaventoso e per niente scientifico. Thor, invece, non riesce ad interrompere il ripetersi nella sua testa di un frammento di quella profezia che, tempo prima, suo padre aveva recitato ad Angel, suo fratello e lui:
"La sua forza crescerà, nutrita dalle anime impure dell'universo."
Il potere del male era il soggetto, ovviamente, e, nonostante quelle persone sembrino solo povere vittime, il semi-dio sa bene che tutti, ogni essere vivente dei nove regni, non può definirsi completamente puro, perché non privo di debolezze e, ora è chiaro, è lì che l'oscurità attacca.
-Questa non è malattia, è possessione.- pronuncia poi, alla luce di quel ragionamento.
-Speravo che questo fosse solo un mio timore infondato.- controbatte Rogers, con tono deluso, speranzoso che l'asgardiano, con secoli di esperienza di vita, desse una spiegazione più accettabile della cosa e, magari, una cura.
-Mi dispiace, credimi, vorrei come te che fosse così.-.
-Che cosa sai, Thor?- domanda il Capitano, guardando il compagno con determinazione, ma tradito dalla stretta dei suoi pugni, segno di timore per quella che, come forse già immagina, debba essere una realtà tutt'altro che facile.
-Avrei preferito evitarti tale verità. Quindi perdonami se, a questo punto, non posso più farlo.- ammette principe di Asgard, con un mezzo sorriso rassegnato, prima di raccontare tutta la storia dell'ultimo mese al suo compagno di battaglia.

Salvation || LokiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora