6. Le preoccupazioni fondate di Gregor

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Lasciai un po' di tempo ad Alice. Se c'era una cosa che avevo imparato in sei mesi era che spesso Alice perdeva la testa per nulla ma che dopo qualche ora tornava in sé.

Perciò mi bastava solo aspettare che fosse lei a tornare e a spiegarmi perché aveva dato di matto.

Così accompagnai mia figlia a scuola e andai a colazione con la band.

All'ora di pranzo però, tornato a casa e avendola trovata vuota, iniziai a chiamarla.

Di solito non ci metteva più di due ore per tornare in sé e per questo iniziai a preoccuparmi.

Gli lasciai tre messaggi e la chiamai cinque volte, prima di iniziare seriamente a pensare al peggio.

Mi misi perfino a riflettere sulla nostra strana discussione.

Alice era sembrata più pazza del solito ma forse mi era sfuggito qualcosa perciò ripensai a tutto ciò che ci eravamo detti.

Non riuscii a trovare nessun indizio, se non il fatto che era evidente ci fosse qualcosa che la turbava.

Per questo, nel primo pomeriggio, iniziai a fare svariati giri di chiamate, cercandola prima di tutto a casa delle sue amiche.

Ma di Alice nessuna traccia. Sparita. 

Mi preoccupai seriamente quando la giornata iniziò a volgere al termine. Per quanto folle e impulsiva fosse, non poteva andarsene via senza dare sue notizie per tutto il giorno. 

Mi era già successo una volta, di perdere una persona che amavo così all'improvviso. La mattina l'avevo salutata come ogni giorno e la sera ad aspettarmi in casa solo un biglietto che lasciava spazio a poche domande. 

Ma Alice non era come lei. Per quanto potesse essere triste, delusa e arrabbiata, sarebbe sempre tornata. Ne ero sicuro. 

Per questo avvisai Vince, da poco tornato dal lavoro, mi accertai che avrebbe tenuto d'occhio Emma in mia assenza - anche se forse sarebbe stata lei a fare da baby-sitter a lui- e uscì senza una meta ben precisa. 

Chicago è una grande città, confusionaria e dispersiva. E' praticamente impossibile trovare una persona se non si sa dove cercare. 

Ma io conoscevo bene Alice, forse anche meglio di me stesso. Perciò feci il giro dei luoghi che più amava. Una specie di tour dei suoi posti del cuore. 

Andai prima di tutto nel suo ufficio, sperando che avesse cambiato idea e avesse deciso di andare a lavorare, ma di lei nessuna traccia. 

Mi ricordai che una volta mi aveva portato nel suo bar preferito, non molto lontano dall'Università dove aveva studiato. Ma anche lì fu un buco nell'acqua. 

Passai nella sua biblioteca preferita, e perfino nella boutique dove di solito comprava i suoi vestiti vintage. 

E, all'ultimo, andai a vedere nell'unico posto che mancava nella mia lista. Il lago. 

Una volta mi aveva detto che stare seduta in riva al lago era la cosa che più le ricordava - anche se blandamente - il mare dell'Australia, e che le piaceva fermarsi lì di fronte quando era pensierosa e triste. 

Perciò fui sollevato quando vidi la sua sagoma inconfondibile, seduta su una panchina, ad osservare le leggere onde sul lago Michigan. 

Non era sola perché in piena estate la spiaggia di ravvivava di gente. C'era chi giocava a pallavolo, chi faceva nuoto, chi portava a spasso il suo amico a quattro zampe.

Eppure lei sembrava così estraniata da tutto il resto del mondo, come se non si rendesse conto di essere in compagnia di tante altre persone.

Mi avvicinai con reverenza, silenziosamente, timoroso d'interrompe il suo flusso di pensieri. Mi sembrava quasi sbagliato farmi vedere da lei, perché sapevo che se era lì era solo perché aveva bisogno di tempo e spazio. 

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora