14. Chi è più nervoso?

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Che ero nervoso si vedeva lontano un miglio. Anche chi non mi conosceva bene poteva percepirlo. 

Avevo organizzato tutto nei minimi dettagli, perché avere il controllo dell'organizzazione mi dava tranquillità e rassicurazione.

Sembravo Alice durante le ultime fasi di preparazione di uno dei suoi tanti matrimonio. 

Avevo fatto i biscotti, messo il tè sul fuoco pronto per essere riscaldato e, visto che avevo tempo, avevo perfino riordinato tutta la cucina. 

Mi ero calmato solo quando anche Alice era tornata a casa e l'unica cosa che mi rimaneva da fare era aspettare. 

In piedi, di fronte ai miei amici seduti al bancone della cucina, con le mani appoggiate al ripiano e lo sguardo che sfiorava spesso l'orologio sulla parete, mi chiedevo se avessi fatto la cosa giusta. 

Emma era chiusa in camera sua da almeno due ore e quando avevo tentato di avvicinarsi alla sua stanza, Alice mi aveva fermato. 

"Cose da ragazze", mi aveva sussurrato, con un tono di voce che lasciava intendere avessi dovuto capire di cosa stesse parlando. Inutile precisare che non era così. 

Più il tempo passava e più m'innervosivo, sentendo le lancette dei minuti che ticchettavano così forte da farmi scoppiare la testa. 

«I ragazzi della band sanno che Rebecca è tornata in città?», mi chiese all'improvviso Jo, facendomi quasi saltare dallo spavento.

E in seguito beccandosi anche un'occhiata di monito. Non volevo affatto parlare di certe cose in un momento del genere. 

«Ovviamente no», sentii sussurrare Vince, in tono sarcastico, per niente spaventato dal mio sguardo di fuoco. 

Alice mi fissò con un'espressione interrogativa sul volto. A lei non avevo ancora raccontato tutta la mia storia.

Un po' perché non ne avevo avuto tempo. Rebecca era piombata di nuovo nella mia vita all'improvviso, e mi ritrovavo a dover gestire troppe cose. 

Non feci in tempo a scuotere la testa, sperando che capisse che quello non era il momento giusto per parlarne ma il tono sorpreso di Jo m'impedì di fare nulla.

«Lei non lo sa?», con gli occhi sbarrati guardò prima me e poi Alice, per tornare infine a fissare di nuovo me e a scuotere la testa in segno di protesta. 

«Sapere cosa?».

Ovviamente nessuno sarebbe riuscito a placare la curiosità di Alice e sapevo di non avere alcuna speranza di evitare le mille domande che frullavano nella sua splendida testolina.

Ma quando vidi la sagoma di Emma entrare baldanzosa in cucina, ne approfittai per cambiare discorso e spostare l'attenzione dal mio passato. 

«Ehi, tesoro», annunciai la sua entrata con una voce fin troppo squillante, continuando a guardare sia Alice che i miei due coinquilini con un'espressione eloquente sul volto.

Anche Emma non sapeva che cosa fosse veramente successo tra me e la madre, quando se ne era andata, e preferivo che non lo scoprisse. 

Non amavo tenerle nascoste le cose ma non voleva che avesse pregiudizi su di lei. E io, naturalmente, era troppo di parte. 

Naturalmente tutti e tre intuirono che fosse meglio lasciar perdere, ma capii immediatamente da come mi guardava, che Alice sarebbe andata a fondo, prima o poi, assillandomi con mille domande fino ad ottenere una risposta. 

Si voltarono tutti a guardare Emma, che si era fermata al centro della stanza e ci fissava come se volesse chiederci qualcosa. 

Indossava un vestito bianco che le arrivava fino alle ginocchia e si apriva in una gonna a più strati, in tessuto leggero. Un cinta nera e ballerine dello stesso colore completavano l'abbigliamento che aveva accuratamente scelto per quell'incontro. 

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora