19. Una proposta non indecente

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Quando tornai a casa percepii chiaramente la tensione nell'aria.

Il mio sesto senso femminili mi diceva che sarebbe stato meglio uscire di nuovo, chiudere la porta alle mie spalle e fuggire più in fretta che potevo.

Sarebbe stato saggio. Molto saggio.

E invece entrai, direttamente nelle fauci della tigre.

Mi venne quasi l'istinto di camminare in punta di piedi, per non far sentire il mio arrivo.

Ma le voci concitate in cucina mi avvisarono che era troppo tardi, che l'uragano era già arrivato e non potevo fuggire.

Pensai di poter scappare nella mia camera, ma quando mi accorsi che una delle voci era quella di Gregor, capii che non avevo altra scelta.

La tempesta mi avrebbe raggiunto anche nella nostra stanza, tanto valeva affrontarla in territorio neutrale.

Quando entrai in cucina non capii immediatamente quale fosse il punto della discussione.

E, a occhio e croce, non lo avevano compreso neanche Jo e Vince.

Fissavano Gregor come se non sapessero cosa fare e quando si resero conto che c'ero anche io, Vince supplicò con il labiale di fare qualcosa.

Il bancone della cucina era completamente ricoperto di spezie, bicchieri, piatti e tutto ciò che di solito doveva stare all'interno delle credenze.

Perfino gli alimenti del frigorifero erano stati girati fuori e riposti, sempre in modo ordinato, sul pianale.

E poi c'era un'etichettatrice. Uno di quegli aggeggi che non sapevo neanche avessimo in caso.

Forse gli indirizzi avrebbero dovuto farmi intuire che cosa stata succedendo. Ma quel giorno avevo lavorato senza sosta e il mio cervello era così fuso che mi prese contro piede.

Perciò feci l'errore di chiedere: «Che cosa sta succedendo?».

Capii subito di aver fatto la domanda sbagliata quando Jo alzò gli occhi al cielo e Gregor, che teneva le mani conserte, aggrottò le sopracciglia in un cipiglio serio e un po' arrabbiato.

Pensai di aver fatto qualcosa di sbagliato ma proprio non mi veniva in mente nulla.

«Vuoi sapere che cosa è successo?», mi domandò, con un tono che sembrava voler dire che "ma come? Non lo immagini?".

Avete presente quei momenti in cui vi chiedete "Ma chi me lo ha fatto fare?".

Ecco, questa domanda racchiudeva tutto il mio stato d'animo in quel momento.

Un po' intimidita, annuii, piano e quasi impercettibile.

In realtà volevo farmi piccola piccola per la vergogna.

«Posso passare oltre, sebbene a stento, sulle mutande trovate sempre in giro, per terra, soprattutto in bagno... Passo passare oltre alle sue nottate folli e i rientri sempre chiassosi...»

Capii che non stava parlando di me perché... Bè perché non ricordo di aver mai lasciato le mie mutandine in bagno.

«Ma non posso permettere che quell'uomo metta le sue mani nella MIA cucina», aggiunse, evidenziando in modo furioso la parola "mia".

Ancora non mi era molto chiaro quale fosse veramente il problema, ma sapevo che c'entrava Randy.

«Non solo si è permesso di spostare ogni cosa all'interno del frigorifero, nonostante avessi messo tutti in ordine... E nonostante ho ribadito più volte che non deve toccare le mie cose, lui che fa? Sposta il mio cibo, lo tocca e se lo mangia anche... È finito il mio latte alle mandorle e si è avvicinato anche ai miei biscotti nella credenza... Per non parlare di quello che ha fatto questa notte».

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora