18. Patti chiari, amicizia lunga

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Il Millennium Park, all'ora di pranzo, era ancora più gremito del resto della giornata.

E per me che sono un solitario non era proprio il massimo, peccato che non avessi altra scelta.

Immaginate quindi il disagio nel dover sopportare tutte quelle persone che facevano Pic nic sul prato del Jay Pritzker Pavillion.

Avevo preso posto in un dei tanti seggi che venivano usati durante le rappresentazioni.

Di sera, quando quel luogo diventava un teatro, tutte quelle persone non mi davano affatto fastidio.

Forse perchè in quel caso erano tutti riuniti per uno scopo. Che fosse ascoltare musica, guardare un film e un'opera teatrale.

In un certo senso erano tutti collegati. Come un solo corpo, una sola anima e una sola voce.

Di giorno, invece, quelle stesse persone non avevano più lo stesso fascino ai miei occhi.

Ero perso nei miei pensieri quando sentii un fruscio.

Mi voltai e Rebecca era lì, seduta accanto a me, che mi sorrideva.

«Queato è ancora il tuo posto preferito», constatò con una tale ovvietà da darmi sui nervi.

«Acustica perfetta», commento con tono neutro, alzando gli occhi per puntarli sui tubi in metallo che creavano una sorta di telaio sopra il padiglione.

Arte contemporanea mista ad utilità musicale. Mi limitiai ad annuire.

«Ricordo che ti sarebbe piaciuto suonare qui», aggiunse ancora, probabilmente spingendomi a dire qualcosa.

Il silenzio l'aveva sempre messa un po' a disagio. Proprio l'esatto contrario di me. E questo, come molte altre cose, non era cambiato.

«Vuoi davvero parlare di musica con me?», le risposi, quasi seccato.

Lei capì immediatamente che quello era un argomento che era meglio non toccare.

Ma ci tenni a specificare: «Non sono qui per parlare di quello che hai fatto, e fossi in te non tornerei fuori questa questione. Devi ringraziare che i ragazzi non abbiano deciso di denunciarti allora... Fingiamo che non sia successo nulla. Sono qui solo per parlare di Emma».

Lei, visibilmente a disagio, evitò di guardarmi negli occhi, anzi, osservò il panorama intorno a noi.

«A proposito di Emma... Pensavo che la portassi», poteva sembrare delusa ma non volevo crederci del tutto.

«Lei è al campo estivo... E poi volevo parlarti in privato. Solo io e te».

A quel punto Rebecca voltò di scatto la testa per fissarmi negli occhi, più interessata.

Forse pensava che volessi riallacciare i rapporti di un tempo. Ma fui presto costretto a deluderla.

«Ieri nostra figlia mi ha detto che ti ha visto questo weekend, a casa dei nonni», iniziai con un tono di voce per niente rassicurante.

Lei lo percepì che c'era qualcosa che mi dava fastidio ma non capiva bene cosa fosse.

«Preferisco che Emma sia sotto la mia sorveglianza quando ci sei tu », le feci notare.

Usai volontariamente un tono più severo del solito. Volevo mettere le cose in chiaro, fin da subito, prima di mettermi in condizioni difficili da gestire.

Rebecca mi guardò sorpresa. «Non ti fidi di me?».

«Puoi biasimarmi?».

Un po' mi dispiaceva continuare a farla sentire in colpa, anche se se lo meritava.

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora