50. Costi quel che costi

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Gregor.

«Lo sapevo!», esclamai in un sussurro per non farmi sentire da Emma, seduta sulla sua sedia accanto al bancone che le era stato dato, con la testa china sulla sua ricerca, e l'aria piena di tristezza mista a speranza.

Ogni volta che qualcuno entrava nella sala e lei si voltava con la gioia negli occhi, per poi spegnersi di nuovo quando constatava che non era sua madre, io morivo dentro. 

«Questa volta l'ha fatta proprio grossa. Giuro che non gliela perdonerò mai e sarà meglio per lei se sparisce per sempre...».

«Sei proprio sicuro che non verrà?», chiese Jo, ancora ottimista. Era rimasto l'unico. 

Non mi andava proprio di fare il guastafeste, ma guardando l'orologio e vedendo quanto fosse tardi, non potei non aggiungere: «La conosco, e per quanto una parte di me sperava in un suo cambiamento, ho sempre saputo che Rebecca non cambierà mai... dovevo prevederlo, è tutta colpa mia».

«E tu che c'entri? Tu sei il genitore presente...», mi fece notare Jo, risoluto, eppure non riuscii a smettere di pensare che avrei dovuto fare di meglio.

Per cominciare non avrei dovuto dare un'altra possibilità a Rebecca. Mi ripetevo che lo avevo fatto solo per Emma, per non farla crescere senza una madre, ma in realtà avevo peggiorato le cose.

Le avevo fatto riavvicinare, pensando che fosse la cosa giusta, solo per constatare che tra qualche minuto mia figlia si sarebbe resa conto di chi fosse veramente sua madre. Ed era una cosa che avrei voluto evitare.

Toccava a me, il genitore presente, andare da lei ad ammettere che la madre se ne era andata. Che aveva messo al primo posto se stessa, abbandonandola di nuovo nel bel mezzo di una cosa che per Emma era estremamente importante. 

E proprio nell'istante in cui aveva deciso e soprattutto trovato le parole giuste, vidi Alice entrare nella grande sala conferenza, disordinata e trafelata, mentre si faceva spazio tra la folla di gente che iniziava ad entrare. 

«Quella è Alice», affermò un'istante dopo Jo, mentre io annuivo, sconvolto quanto lui. 

«Oh, finalmente vi ho trovato», esordì invece lei, una volta arrivata davanti a noi: «Questo edificio è enorme e ho rischiato più di una volta di perdermi e ho creduto di arrivare in ritardo... sono in ritardo?».

«Sei in anticipo, in realtà... pensavo arrivassi fra un paio d'ore, per la presentazione di Emma».

«Bè, cambio di programma...», tirò fuori dalla borsa una lettera e me la porse: «Questa me l'ha data Rebecca e, brutta notizia, non verrà».

«Sì, lo immaginavo... ma comunque non capisco che cosa ci fai tu qui adesso. Non avevi un appuntamento? E poi perché hai i capelli bagnati?».

Lei interruppe tutte le mie domande con un gesto della mano ed iniziò a parlare a macchinetta, senza alcun controllo.

«Ero a pranzo con Paul quando mi sono resa conto che ero in ritardo, così quando sono uscita dal ristorante un ragazzo mi è venuto addosso, e mi ha pure dato la colpa, ci crederesti? Comunque mi sono sporcata e casa di Kisha era troppo lontana così ho pensato di venire da voi per cambiarmi al volo, in tempo per l'appuntamento...».

«E hai incontrato Rebecca?», chiese Jo, interrompendola, ma lei non rispose alla sua domanda, continuò a parlare come se non avesse sentito nulla.

«E proprio mentre stavo andando via ho incontrato Rebecca. Lei mi ha lasciato la lettera e ha detto che se ne andava, per una questione di lavoro... Non ho capito bene però ho cercato di convincerla a non partire, di restare per Emma, ma niente, se ne è andata. E così mi sono detta che non potevo lasciare la piccola Emma da sola, in un momento così importante».

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora