28.Parola d'ordine: imbarazzante

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Ero agitata all'idea di rivedere Paul e, francamente, non sapevo neanche il perché.

Ero stata sincera con Gregor. Più o meno.

Nel senso che lo aveva avvisato che avrei rivisto un amico d'infanzia ma avevo tralasciato il pettegolezzo che mi aveva rivelato mia sorella.

Un po' perché ancora non ci credevo, e un po' perché mi metteva in imbarazzo.

Ma non era per quel motivo che mi sentivo agitata.

Paul rappresentava una parte della mia vita passata che avevo lasciato alle spalle.

La mia infanzia, le mie origini. Qualcosa che per molto tempo era stata la mia ancora di salvezza e allo stesso tempo ciò da cui fuggire.

Non mi sono mai guardata indietro. Ho fatto le valigie e ho preso un aereo che mi portò dall'altra parte del mondo.

Senza mai rimpianti.

Non dico che sia stata tutto semplice fin dall'inizio, anzi. Ci si sente sempre un po' un pesce fuor d'acqua, quando si vive in un altro paese.

Anche se gli Stati Uniti erano sempre stati il mio sogno, il nostro primo incontro non era stato molto idilliaco.

Per me era tutto nuovo ed estraneo. Ma neanche nei momenti più difficili mi ero sognata di tornare a casa.

Quella fu la prima, e forse anche l'unica, decisione che presi con sicurezza, senza mai pentirmene.

Non so perché, ma ancora oggi ne sono fiera.

E l'ultima volta che la mia vita dell'Australia si era intromessa con quella nuova a stelle e strisce, era finita con un bel paio di corna.

Capite che fossi un po' reticente, per paura che potesse succedere qualcosa.

La mia esperienza mi aveva imposto di pensare che mischiare passato e presente non era una buona cosa.

Anche se, ad essere sinceri, Tori non era come Paul.

Seduta ad uno dei miei bar preferiti, ad un tavolo fuori, con la vista del lago a deliziarmi, lo attendevo senza sapere bene che cosa aspettarmi. 

Mia sorella mi aveva dato qualche indizio ma ero anche abbastanza sicura di non potermi fidare del suo giudizio. Perciò non avevo alcun tipo di aspettativa. Solo parecchie domande in testa. 

Guardavo attentamente la strada, scrutando ogni uomo che passava di lì, chiedendomi se fosse lui oppure no. Sarei riuscito a riconoscerlo? A detta di mia sorella no, e perciò mi chiedevo se lui avesse potuto riconoscere me. 

Passarono così tante persone che ad un certo punto iniziai a decidere che forse sarebbe stato meglio ordinare qualcosa e smettere di scandagliare ogni persona. 

Quando un uomo, alto, molto alto aggiungerei, si accostò al mio tavolo. Fui costretta ad alzare la testa quasi a farmi venire il torcicollo per riuscire a guardalo nel volto. 

Sguardo sincero, con due grandi occhi azzurri magnetici, mascella scolpita, sorriso un po' timido e folta capigliatura bionda. Neanche un filo di barba sulle sue guance all'apparenza morbide. 

Nonostante non si fosse ancora presentato, e nonostante non lo avessi riconosciuto, seppi immediatamente che era lui.

E devo dire che per la prima volta mia sorella aveva ragione. Non era per niente il ragazzino che ricordavo, e non solo per la perdita di chili. 

«Alice, che bello rivederti», affermò subito con una voce profonda, completamente differenze da quella squillante del bambino che avevo conosciuto. 

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora