48.Una giornata piena d'imprevisti (prima parte)

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Alice.

«E così si sono sposati», conclusi il mio racconto un po' sconclusionato davanti ad un Paul stranamente interessato, e divertito.

Davanti alla mia insalata, nel ristorante vicino al mio ufficio, mi godevo l'unica ora libera di quel venerdì super impegnato.

O meglio, cercavo di godermela. Cosa un po' difficile se si vuole anche raccontare tutto quello che è successo in settimana al tuo amico.

«Deve essere stata una sorpresa...».

«Oh, sì... Io non sapevo neanche che si conoscessero», ammisi: «E ancora adesso mi chiedo quando si sono ufficialmente conosciuti quei due».

Apparentemente sembravo tranquilla, nonostante la novità, ma la verità era che non avevo ancora deciso come reagire.

Non era certo un mio problema, ma capirete che, da amica, ero perplessa e preoccupata. E parecchio confusa. 

«Insomma, Grace è sempre stata la più impulsiva del gruppo ma questo è un po' eccessivo anche per lei... E non ho ancora avuto modo di parlare con lei per chiedere cosa sia successo».

«Dovresti farlo», m'incitò lui, mentre finiva di mangiare il suo arrosto, con tono serafico.

«Lo so, ma quando ho cercato di parlarle quel giorno stesso, lei era troppo ubriaca anche solo per mettere in fila due frasi di senso compiuto... la sto cercando da giorni ma evita di rispondere alle mie chiamate, e a quelle di Kisha. Non so neanche se è andata a vivere a casa di Gregor e Jo».

Avevo pensato anche di andarla a trovare, con la scusa di prendere alcune cose lasciate nel vecchio appartamento, ma qualcosa mi diceva che era meglio lasciarle il tempo per riprendersi.

«Mi auguro che quando avrà voglia ci cercherà lei, ma è davvero difficile per me farmi da parte e non insistere per ottenere una risposta».

Paul mi sorrise, in modo genuino: «Immagino, è una delle cose che adoro di te... il tuo essere sempre così presente per le persone che contano per te».

«Qualcuno potrebbe anche dire che sono invadente», lo ammettevo anche a me stessa, ma non potevo farci nulla.

Sono sempre stata così, fin da piccola. Con i miei amici d'infanzia, tendevo spesso a volermi impicciare, a cercare di mettere bocca per risolvere i loro problemi, anche quando non era richiesto il mio aiuto.

Il più delle volte ero davvero un sostegno utile, e venivo sempre ringraziata per il mio intervento, ma non sempre andava tutto liscio. Nonostante tutto, però, non potevo non interessarmi della vita dei miei amici. 

«Io invece penso che tu sia una buona amica», rincarò la dose lui, guardandomi in modo strano. 

Ero troppo intenta a ricambiare il suo sguardo, e a cercare di capire che cosa stesse pensando, che non mi accorsi della sua mano, sopra il tavolo, che si avvicinava pericolosamente alla mia.

Me ne resi conto solo quando la sentii sfiorare le mie dita, e prima ancora che abbassassi lo sguardo per accertarmi di quello che stava succedendo, mi ritrassi d'istinto.

Una parte di me si diede subito della stupida, considerato che l'espressione di Paul cambiò immediatamente e divenne imbarazzata, perché in fondo non c'era nulla di male in un semplice contatto tra mani.

Eppure il mio sesto senso mi comunicava che se per lui aveva un significato diverso da quello di pura amicizia, allora era meglio tenere le distanze ed essere più chiari possibili. 

«Alice, io...», iniziò lui a dire, farfugliando agitato, e visto che sapevo cosa stava per dire - me lo sentito in ogni cellula - decisi risparmiargli l'imbarazzo di confessare i suoi sentimenti a qualcuno che non lo ricambiasse.

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora