34. Essere lasciati o lasciare

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Non fu facile decidere chi doveva andarsene. Se io o Gregor.

O meglio, quando lui mi raggiunse nell'appartamento, stavo già facendo i bagagli, inserendo alcuni panni alla rinfusa dentro una valigia.

«Non devi andartene», mi disse, contrito.

«È meglio stare lontani per un po', farà bene ad entrambi».

Gli davo le spalle in quel momento, perciò non poté vedete le lacrime che mi solcavano il viso.

«Lascia che sia io ad andare via», aveva risposto.

«No, tu hai Emma... E poi abitavi qui da prima di me», e seguirono momenti imbarazzanti in cui entrambi cercammo di convincere l'altro a restare.

Davvero imbarazzanti.

Alla fine vinsi io, solo perché sono più testarda di lui. Ma ancora una volta, mentre mettevo i bagagli i valigia, mi ritrovai a pensare a quanto fosse stato carino a preoccuparsi per me.

Solo che non sempre essere gentili basta.

In meno di un anno mi ritrovai senza un tetto sopra la testa per la seconda volta.

Ma mentre più di sei mesi prima avevo conosciuto Jo e deciso di andare a vivere con i ragazzi, questa volta optai per qualcosa di più semplice.

Chiamai Kisha e le chiesi asilo politico per qualche tempo.

Mi vergognavo un po' a farle una richiesta simile, soprattutto considerato la sua situazione.

Ma mi feci forza. Non potevo chiedere aiuto a Grace per vari motivi e mi restava solo lei.

O meglio, avrei potuto anche cercare alloggio in un motel, ma a parte il problema economico, volevo il conforto di un'amica.

Mi sono sempre chiesta come ci si sente a essere l'artefice della fine di una relazione.

Perché so che quando la separazione non viene da una tua scelta, si sta male. Male da pazzi.

Si soffre pure per un uomo come Daniel.

Ma, ingenuamente, ero convinta che sarei stata meglio, essendo stata una mia scelta.

Niente di più sbagliato. Era anche più doloroso che essere lasciati.

Ma non riuscivo a capire se fosse perché non potevo prendermela con nessuno - tranne che con me stessa - o perché amavo così tanto Gregor da credere di aver fatto uno sbaglio.

Comunque, neanche ero fuori da quella casa che già piangevo a dirotto, senza controllo.

Fui costretta ad accostare al lato della strada con la macchina quando la vista iniziò a offuscarsi.

Già mi mancava. Gregor e la sua silenziosa presenza.

Ma in realtà non solo lui. Sentivo il vuoto che avevano lasciato nel mio cuore tutti gli abitanti di quell'appartamento.

Ero sicura che avrei sentito la mancanza delle battute di Vince, della risata di Jo e della infinita curiosità di Emma.

Mi ero abituata a vivere in casa con tante persone, a volte sembrava perfino di essere tornata al college.

E per assurdo, mi sarebbe mancato anche il cugino di Vince, che alla nostra strana famiglia non aveva dato alcun contributo.

Forse un po' di tempo da sola mi avrebbe fatto bene, ma non ero a mio agio con la solitudine.

Anche per questo cercai il conforto di una delle mie amiche che, non appena bussai alla sua porta, triste come un cagnolino bagnato, mi accolse fra le sue braccia confortevole.

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora