24. Tra brutte notizie e un tentato soffocamento

2.3K 176 55
                                    

Non avevo detto ad Amber che avevamo preso in casa mio cugino.

Non chiedetemi perché... Qualcuno potrebbe dire che forse fossi un tantino insicuro, ma questo io non lo ammetterò mai.

Ma, avendoglielo tenuto segreto, non potevo certo dirle che avevo fatto tardi al nostro appuntamento perché lo avevo accompagnato ad un colloquio di lavoro.

E quando raggiunsi il ristorante, all'entrata non c'era nessuno, ma dalla vetrina potevo vedere la mia ragazza che aveva già preso posto al tavolo.

Guardai di sfuggita il mio orologio digitale, constatando di avere un ritardo di ben un'ora e venti minuti. Manco fossi una prima donna.

Non avevo molto tempo per escogitare una scusa plausibile e in più sapevo che mi sarei trovato davanti un Amber molto seccata.

Insomma, la serata non poteva che iniziare nel peggiore dei modi.

Osservandola da fuori non ero poi tanto convinto di entrare. Ma già era grave il ritardo, non potevo certo dargli un bidone.

O meglio, potevo anche, se ci tenevo a tornare single.

Contai fino a dieci, elencai mentalmente tutte le opzioni che avevo, e, mentre entravo e mi dirigevo verso un possibile patibolo, cercai di trovare la scusa migliore.

Più mi avvicinavo, sfilando tra i tavoli apparecchiati e le coppiette innamorate, più pregavo che non si fosse accorta del mio ritardo.

Ma chi voglio prendere in giro? Era consapevole che lei non si sarebbe fatta sfuggire quel piccolo dettaglio- che poi tanto piccolo non era- eppure ciò non mi impedì di far finta di niente.

Con una non chalance non proprio adatta a me, e un sorriso alla stregatto, mi accostai al tavolo.

Strano che lei non mi avesse ancora notato, visto che di solito aveva occhi perfino sulla schiena.

Ma parve assorta e distratta quando esordii: «Ciao, tesoro».

Non menzionai il mio ritardo, neanche per scusarmi, perché una parte di me sperava proprio di non dover affrontare l'argomento.

In tutta risposta Amber alzò lo sguardo, mi fissò un po' scettica ma decise comunque si alzarsi per salutarmi e baciarmi.

Scioccamente pensavo di essere scampato alla domanda - tanto che tirai un sospiro di sollievo - ma mentre prendevo posto di fronte a lei, la vidi osservare l'orologio.

«Di solito sono le donne che si fanno attendere», annunciò, se sa però alcun tono stizzito.

Niente domande insomma, ma sapevo che dietro alla sua battutina c'era un'esigenza di scoprire cosa avessi da dire a mia discolpa.

Non potevo scampare e ignorare, per non peggiorare ancora di più la situazione.

«Mi si è rotta la macchina», affermai senza pensarci troppo.

Di idee ne avevo scandagliate molte, alcune anche parecchio fantasiose, e in poco tempo ne avevo alcune escluse alcune.

Ma alla fine avevo optato per la più semplice e banale. Dimenticandomi però di arricchirla con particolari che avrebbero reso il tutto più verosimile.

Così, mentre mi guardava, scrutando la mia espressione e sicuramente cercando di carpire se stessi mentendo oppure no, la pressione e l'ansia prese il sopravvento.

«Lo so, lo so... Potevo chiamarti, diresti tu, no? Eh, il problema è che mi sono dimenticato di metterlo in carica e si è spento. E poi il tempo è passato e neanche me ne sono accorto e...».

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora