39. Fuochi d'artificio per il 4 luglio (seconda parte)

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Alice.

«Non vuoi dirmi dove stiamo andando?», gli chiesi dopo svariati minuti di macchina, mentre sembrava che ci stessimo allontanando dal centro città.

Lui scosse la testa, senza proferire parola, e incuriosendomi ancora di più.

«Ma torniamo in tempo per i fuochi, vero?», scherzai, anche se una parte di me aveva davvero paura che mi stesse portando al confine e, perché no, in un altro stato.

Lui sorrise ma continuò a non rispondere. O qualcuno gli aveva rubato la lingua, oppure stava per succedere qualcosa di molto importante.

Nella mia testa si nascondeva una piccola scimmia curiosa che saltellava e chiedeva a gran voce spiegazioni.

Ma rispettai il desiderio di Gregor e non feci più domande, mordendomi la lingua ogni volta che sentivo l'istinto di aprire bocca.

Lo osservavo, spudoratamente, sapendo che lui non poteva fare lo stesso con lo sguardo rivolto alla strada, e cercavo di carpire qualche informazione dalle sue espressioni.

Peccato che quando ci si mette Gregor è imperscrutabile come una statua scolpita male.

Così non mi restò che attendere il momento in cui la macchina, finalmente, si fermò, più di un'ora dopo.

Lontano dalla frenesia del centro città, eravamo senz'altro finiti in periferia, in uno di quei quartieri così diversi dalla metropoli ma pensare perfino di non essere più a Chicago.

Per qualche istante mi è tornata alla mente la casa della mia cliente, mentre attraversavano un viale di villette e un bellissimo parco, anch'esso in piena festa.

Le persone intente a giocare con il freebie e l'odore del barbecue erano gli unici segnale di quel 4 luglio, perché per il resto le strade erano deserte.

E ancora più deserta e sperduta era la via che imboccammo ad un certo punto, lasciandoci alle spalle le villette senza recensioni e inoltrandosi in un quartiere di grandi abitazione in stile coloniale e cancelli in ferro battuto.

Quando la automobile si fermò, mi avvicinai a cruscotto per osservare meglio ciò che avevamo proprio di fronte.

La strada s'interrompeva proprio davanti a quel cancello arrugginito, dall'aria imponente e completamente ricoperto di rampicanti secchi.

Tra un ramo e l'altro si poteva intravedere un po' della proprietà all'interno e si capiva subito che nessuno abitava quella dimora da molto tempo.

Il giardino era incolto e l'erbaccia cresceva alta e rigogliosa.

Su una piccola collinetta si ergeva un'abitazione su più piani ma dal mio posto in macchina non mi era possibile vederla bene.

«Siamo arrivati?», non riuscii a nascondere il mio tono a scettico, che uscì fuori senza controllo.

Lui, ancora una volta silenzioso - ormai stavo iniziando a preoccuparmi sul serio- si slacciò la cintura di sicurezza e fece per uscire.

Interpretandolo come una risposta di assenso, lo seguii, ritrovandomi a camminare su un asfalto rovinato e spaccato in più punti.

Per fortuna che avevamo parcheggiato proprio davanti alla casa e che fui costretta a fare solo qualche passo per raggiungere Gregor al cancello, altrimenti, con la fortuna che avevo, mi sarei rotta l'osso del collo.

Finalmente più vicino, potei osservare meglio l'edificio oltre il cancello, per quanto le piante me lo permettessero, e potei confermare la mia prima impressione.

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora