22. Non sempre è facile essere felice per gli altri

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«Ehi, ma che hai fatto? Sembri un gambero arrosto», furono le prime parole che sentii pronunciare a Kisha, nel momento in cui andai ad aprirgli.

Neanche un "ciao, come stai", ma in fondo me lo ero aspettata.

Una parte di me credeva ingenuamente che sarei passata inosservata, ma la verità era che avevo notato bene gli sguardi degli sconosciuti.

E perfino un bambino mi aveva indicato alla madre, mentre stavo raggiungendo il mio ufficio.

Neanche il trucco era riuscito a nascondere la mia imbarazzante abbronzatura, e cercai invano di giustificarmi: «Mi ero messo sul balcone a prendere il sole, ieri dopo il lavoro... Ero sola in casa e mi sono addormentata».

Kisha non riuscì a trattenere una risata, anche se la stavo guardando con espressione da rimprovero e tenevo le braccia conserte. 

Potevo anche sembrare infuriata, ma alla mia amica non importava molto. Continuava a ridere come se fosse la miglior battuta del secolo. 

E giuro che avrei riso anche io, se solo non mi sentissi ridicola. Perciò cercai di dare all'accaduto un certo tono di serietà, anche se tutto aveva fuorché la serietà.

«Non c'è niente da ridere, sai? Hai idea di quali siano i rischi di un'esposizione continua ai raggi del sole?», il mio tono parve più stizzoso e saputello del solito, ma restai comunque ferma e decisa sulla mia linea dura. 

Soprattutto perché Kisha continuò a prendermi in giro: «Bastava semplicemente non addormentarsi al sole».

«La fai facile tu... E' che negli ultimi tempi sono un po' stanca. Felice ma stanca».

Le feci cenno di entrare nell'ufficio, anche se in realtà avei dovuto sbatterle la porta in faccia solo per il fatto che continuava a sorridere divertita. 

Mentre raggiungevamo la mia scrivania, mi voltai a fissare la mia immagine attraverso il piccolo specchio che avevo affisso alla parete. Giusto per accertarmi che le risate fossero motivate. 

Quasi mi venne un colpo, e per poco non inciampai su una piastrella leggermente rialzata, cadendo a terra come un'imbranata. 

Per fortuna mi ripresi in tempo, oscillai solo per qualche istante ma mi raddrizzai all'istante e Kisha non mi vide, visto che camminava davanti a me. 

«E comunque potrei lanciare una nuova moda», scherzai, continuando però a restare seria, come se dicessi veramente. O semplicemente stavo cercando di darmi un contegno nonostante assomigliassi ad un pomodoro maturo. 

Kisha mi sorrise, scuotendo la testa, e decidendo saggiamente di non pronunciarsi sulla mia ultima affermazione. Non sarei riuscita a convincere nessuno, neanche fossi stata un'attrice da premio oscar. 

«Ti ho portato la colazione», cambiò discorso con un tono cinguettante, alzando una busta propria all'altezza del viso, e sorridendo come se stesse facendo uno spot pubblicitario. 

«Ecco, così mi piaci di più», scherzai, raggiungendola e prendendo posto alla mia scrivania, mentre lei si sedeva proprio di fronte. 

In realtà avevo lo stomaco chiuso ma non me la sentii di rivelarle la verità, soprattutto perché aveva attraversato mezza città solo per portarmi da mangiare.

Così le lasciai tirar fuori due tazze fumanti di caffè e una scatola di ciambelle, pensando solamente che il mio unico desiderio in quel momento sarebbe stato quello di andare in bagno a vomitare. 

«A cosa devo questa visita?», le chiesi, un po' sospettosa.

Non fraintendetemi, trovavo davvero carino che Kisha fosse venuta a trovarmi sul lavoro, ma mi era anche chiaro che ci fosse dietro una ragione. 

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora