45. Ogni traguardo è una buona scusa per festeggiare

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Sapevo che il matrimonio di Holly sarebbe andato bene. Lo sapevo e me lo sentivo.

Ma avevo comunque tirato un sospiro di sollievo alla fine di quella giornata. E senza alcun intoppo.

Certo, avevo ricevuto qualche chiamata dalla mia allieva, ma era solo panico da prestazione.

In verità non aveva mai avuto bisogno del mio aiuto, neanche una volta. E stranamente la cosa mi rese piena di orgoglio.

Perché in fondo il successo di Holly era anche il mio successo. Io le avevo insegnato tutto ciò che sapevo, io le avevo dato fiducia, e avevo avuto ragione.

Un po' come si fa con i figli. Si crescono, si cerca di trasmettergli qualcosa di positivo e si spera che un giorno riusciranno a camminare con le proprie gambe.

E quando lo fanno veramente, non si può fare altro che guardarli con un sorriso fiero. E nel mio caso organizzare una festa con tutti gli amici per ricordare il traguardo.

Ero riuscita a contattare tutti, tranne Grace che era stranamente irreperibile, e Jo mi aveva aiutato a organizzare tutto in poche ore. Sembrava più eccitato di me mentre riempivamo il carrello della spesa con bibite e patatine. 

La cosa più bella, ovviamente, fu la faccia di Holly quando entrò a casa dei ragazzi e ci trovò tutti lì ad attenderla, con il tavolo imbandita e una finta torta a più piani tipica dei matrimoni. 

Non se lo aspettava e glielo lessi nello sguardo, oltre al fatto che parve imbarazzata da tutta l'attenzione a lei dedicata. 

E se all'inizio non voleva parlare e si sentiva a disagio di fronte a tutte le nostre richieste di raccontarci per filo e per segno com'era andata, dopo qualche bicchiere era un fiume in piena e non la fermavi più. 

«La sposa è stata coerente fino alla fine... rompipalle durante la preparazione del matrimonio, rompipalle anche il giorno del matrimonio», aveva iniziato a dire dopo l'ennesima richiesta di raccontarsi, seduta a capo tavola con un bicchiere sempre pieno in mano che agitava con energia a destra a sinistra come se fosse una bandiera.

«Pensate che questa mattina si è lamentata del vento. Del vento, capite? a Chicago! Avrei voluto farle notare che viene chiamata "la città del vento" per un motivo, ma poi ho trattenuto il respiro, contato fino a dieci e sono stata in silenzio mentre lei chiedeva a me, e ad altri suoi collaboratori, se avevamo intenzione di fare qualcosa per fermare il vento».

Non riuscimmo a non ridere tutti, mentre io m'immaginavo la scena e la faccia di Holly mentre le veniva fatta una richiesta del genere. 

«Poi è arrivato il suo guro/personal life o qualcosa del genere... dovevate vederlo, sembrava un hippie uscito da un vecchio film fatto male. Ma almeno l'ha calmata e ha smesso di urlare indignata perché il vento continuava soffiare. D'altronde la comprendo anche...».

Era tornata mezza seria, prima di aggiungere, con ancora tutta l'attenzione degli altri su di lei: «Quando organizzi un matrimonio sul balcone più alto di un grattacielo, sei preoccupata che con il vento forte qualche invitato possa cadere di sotto».

E poi di nuovo tutti a ridere, mentre pensavo che ad una persona normale non sarebbe mai venuto in mente una location simile in condizioni del genere.

Holly dovette intuire i miei pensieri perché subito mi puntò il dito con la mano libera: «Prima che tu possa dire qualcosa, non sono stata io a scegliere la location... anzi, le avevo detto che era una pessima idea, ma è stata inamovibile... il posto era bello, per carità, anche se un po' troppo asettico per i miei gusti».

«Qualcuno è caduto giù dal balcone?», chiese la piccola Emma, beccandosi uno sguardo sbalordito dal padre a causa della sua macabra curiosità.

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora