36. In amore e in guerra tutto è lecito

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Jo

Non vedevo Alice da quando aveva lasciato l'appartamento e, a prima vista, non mi sembrava stesse male. Ma, in fondo, io non sono un'esperto di reazioni femminili. 

Anche se ricordavo bene come aveva reagito la mia coinquilina all'ultima rottura. 

«Vuoi qualcosa da bere?», mi chiese, quasi come se quella fosse casa sua. 

«Una birra?».

Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, cercando di capire se ci fosse qualcosa che non andava. Mi ero talmente abituato alla sua presenza, in quei sei mesi e passa, da non voler accettare che tutto potesse finire così, all'improvviso. 

Perciò rimasi ad osservarla mentre cercava ciò che le avevo chiesto all'interno di un frigorifero che non era il suo, per poi tirarne fuori una bottiglia di Corona e consegnarmela con un certo disagio. 

Lo sapevo perché mi fissava in attesa, sapevo cosa avrebbe voluto chiedermi eppure restai in silenzio. Doveva chiedermelo. 

«Come stai?», le domandai, aprendo la bottiglia e sorseggiando un po' di birra, più per avere qualcosa da fare che per voglia. 

Lei alzò le spalle, non riuscendo a trovare le parole giuste e finalmente mi chiese: «Lui come sta?».

Era questo che le premeva sapere più di ogni altra cosa e devo essere sincero, anche io aspettavo solo il momento per poterglielo confessare.

Sapevo già che Gregor mi avrebbe ucciso, se fosse venuto a conoscenza di quella conversazione, ma non me ne importava più di tanto.

«Sta male, ovviamente... anche se cerca di non darlo a vedere, soprattutto per non far preoccupare Emma. Ma lo conosco da troppo tempo per non capire che sta male».

Non era ciò che avrebbe voluto sentirsi dire, ma era quello che si aspettava, tanto che non rimase sorpresa.

La vidi mordersi il labbro, in difficoltà, ma non riuscì a dire nulla. 

«Ed Emma? Lei sta bene?».

«Lei sta bene, voleva chiamarti perché le manchi ma era titubante... Le ho dato il tuo numero e le ho detto che ti avrei parlato».

«A me farebbe piacere sentirla», affermò in un sussurro, e mi sembrò che fosse in procinto di mettersi a piangere. 

«Sarà contenta», le sorrisi, cercando di smorzare un po' la situazione. Non volevo intromettermi nella vita privata di Gregor e Alice - anche se erano entrambi miei cari amici - ma una cosa ci tenevo a dirla e non riuscii proprio a restare zitto.

«Non so di preciso che cosa sia successo tra di voi, e non voglio giudicare...», iniziai vedendola subito a disagio perché pensava di sapere cosa avrei detto in seguito: «Ma una cosa lasciamela dire. Rebecca potrà anche essere la madre biologica di Emma, l'ha messa al mondo e ciò non potrà mai cambiare, ma chi le ha fatto da madre in questi sei mesi sei stata tu... E questo lo sa molto bene Emma».

Non si poteva dimenticare tutto il tempo passato insieme. Le giornate al centro commerciale a scegliere una nuova carta da parati, le visite dal dentista, i colloqui con i professori. Tutti momenti di una semplice quotidianità a cui entrambe, fino a quel giorno, non avevano dato molto peso. 

«E non credi che forse sia il caso che io faccia un passo indietro per permettere a Rebecca di avere quel tipo di rapporto con sua figlia?», chiese lei, visibilmente combattuta.

Potevo solo immaginare il dilemma che stava vivendo nella sua testa. 

«Se non è in grado di riavvicinarsi alla figlia, non è un tuo problema, e non può prendersela con te», lo vedevo da come mi stava guardando che non ci credeva alle mie parole. 

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora