9. Dove si mangia in cinque...

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«Mi devi aiutare Vince», esordì non appena lo vidi entrare dalla porta di casa. La sua prima reazione, di fronte alla mia espressione seria, fu quella si fissarsi quasi paralizzato.

Non si mosse dall'uscio della porta, indeciso se acconsentire senza neanche sapere di cosa stavo parlando. Chissà che cosa pensava ma in sua difesa posso dire che sono un tipo molto imprevedibile e che avrei potuto fare qualsiasi tipo di proposta strampalata. 

E invece aggiunsi: «Devi configurarmi questo coso...», agitando in aria il mio nuovo telefono. Nuovo di zecca. 

Dopo aver perso il mio, caduto probabilmente quando correvo per la città, quel pomeriggio ero andata al negozio a comprarne uno nuovo.

Il commesso, un ragazzo che parlava la stessa lingua tecnologica di Vince - lingua che io non comprendo a fatto - mi aveva fatto venire un grosso mal di testa e alla fine avevo comprato l'apparecchio più costoso che avevano in commercio.

Probabilmente sarebbe stato in grado di farmi anche il caffè, ma non lo avrei mai scoperto.

Sono sempre stata quel tipo di persona che, stupidamente, pensa che un telefono serva essenzialmente per chiamare qualcuno o mandargli un messaggio.

Perciò di tutto il resto me ne facevo ben poco. O almeno così ero convinta. 

Invece mi ero fatta fregare dalle belle parole e alla fine me ne ero ritornata a casa con un telefono ultra tecnologico, all'avanguardia, che neanche sapevo accendere. Quando si dice un acquisto ponderato. 

Vince tirò immediatamente un sospiro di sollievo quando nella mia mano un cellulare. Gli era andata bene, visto che era pane per i suoi denti.

Poi però mi fissò fingendosi esasperato: «Non mi dire che hai comprato un nuovo cellulare?!».

«Non che avessi poi così tanta scelta... A quanto pare, nel 2018 è considerato strano e bizzarro non avere un telefono cellulare».

Senza contare che chiunque avessi incontrato negli ultimi giorni mi aveva riservato occhiatacce e sgridate perché non avevo risposto alle loro chiamare o ai loro messaggi. 

Per tutta risposta Vince chiuse la porta di casa, si fece avanti con tre gradi falcate, mi strappò il telefono di mano e saltò sul divano, immergendosi all'interno di quell'apparecchio senza dire una parola.

«Non vuoi leggere le istruzioni?»

Mi beccai un'occhiataccia storta prima di sentirlo sbuffare e affermare: «Ma per favore».

Così decisi di sedermi accanto a lui e lasciarlo lavorare in pace. In meno di qualche minuto anche gli altri coinquilini si riunirono nella zona della casa che era sempre stata il cuore di tutto l'appartamento. 

Jo accese la televisione, affermando che ci fosse la replica di una partita di basket che non era riuscito a vedere in caserma mentre Gregor si sedette accanto a me.

Eravamo perciò tutti lì quando Vince finì il suo lavoro, più o meno dieci minuti dopo avergli consegnato l'affare tecnologico: «Fatto», quasi mi lanciò il telefono sulle gambe e, per paura di far cadere, quasi mi scivolò dalle mani.

«Come fatto?».

«Sì, ho impostato tutti i tuoi account, ripristinato la tua rubrica e ti ho messo perfino lo sfondo con la faccia di quell'attore che ti piace tanto.

«Ok, ma come funziona?».

Vince si voltò a guardarmi quasi fosse evidente ciò che stava per dire: «Come qualsiasi altro cellulare... In fondo, tu non è che ci fai un granché. Per chiamare e mandare messaggi funziona proprio come il tuo vecchio cellulare».

Provaci ancora AliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora