51. Sì, lo è. È troppo giusto.

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|ℭ𝔥𝔞𝔭𝔱𝔢𝔯 Տյ|

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𝕮𝖆𝖘𝖕𝖊𝖗'𝖘 𝖕𝖔𝖎𝖓𝖙 𝖔𝖋 𝖛𝖎𝖊𝖜

Le dita calde di Harry stringevano insistentemente le mie, non intenzionate a lasciarmi andare, come se riuscisse a tenermi anche se stavo andando giù. Era un gesto così innocuo, ma per me rappresentava solo così tanto.
«Sarà il classico cliché, me ne rendo conto, ma i miei genitori si sono separati perché semplicemente avevano smesso di andare d'accordo, ero davvero legata a mio padre, e non vederlo girovagare più in casa, o trascorrere il suo tempo libero con me e la mamma mi straniva, a maggior ragione sapendo che il suo tempo lo spendeva con la sua nuova moglie e la sua nuova figlia. Non lo sento da tanto, e forse è meglio così...» mi fermai a tirare su col naso.

Odiavo il fatto che lui dovesse sempre vedermi piangere, sul serio; solo che non avrei mai pensato di dovergli raccontare quel periodo esatto della mia vita a cui mi piaceva metterci una pietra sopra e sostituirlo con menzogne gioviali.
«Non conosco sul serio Damien da quando siamo piccoli, o almeno, non così piccoli» sospirai ed Harry divenne teso seduto accanto a me.

«I miei genitori si erano separati da poco, a scuola non vivevo una bella situazione, ma questo tu lo sai già. La figlioccia di mio padre, convinta di poter avere tutto e calpestare chi gli pareva sotto ai piedi si trasferì nella mia stessa scuola e cominciò a tormentarmi più degli altri-».

«Come si chiama?» chiese accigliato con un filo di voce e feci una smorfia torturandomi la mano libera sotto alla coscia.
«Cheryl».

«Ma è quella ragazza che con Hunter-».

«Sì, Harry, sì. Comunque, non capivo cos'avessi di sbagliato, fatta eccezione per il mio nome, che era il centro dei miei problemi. Non avevo nessun amico, non avevo mai rivolto la parola a nessuno, se non a chi cercava di importunarmi chiedendogli cosa avessi fatto di male. I pregiudizi e le prese in giro ruotavano attorno al mio modo di vestirmi, al mio nome, e alla mia situazione familiare. Non ho mai sentito il bisogno di tagliarmi, perché a dir la verità penso sia un po' inutile aggiungere altro strazio alla tua vita straziante, e che se vuoi smettere di vivere conviene ammazzarsi e basta-».

«Non devi parlarmene se non vuoi, lo sai, sì?» mi avvicinò di più a lui circondandomi con un braccio il corpo stringendomi forte a sé e annuii, «mi hai detto tante cose su di te, è anche giusto» aggiunsi giocando con alcuni peli delle sue braccia, non ne aveva tanti.

«È giusto solo se tu lo senti giusto, Cass» mi carezzò una guancia e sorrisi lievemente, annuendo.
«Era Febbraio, credo, avevo da poco compiuto 13 anni, mia madre mi faceva prendere dei farmaci che mi calmavano siccome non ero ancora capace di gestire i miei attacchi di panico. Ero arrivata ad un punto in cui non sapevo sul serio cosa volevo dalla vita, in cui ero convinta che avrei dovuto convivere per sempre con quell'angoscia e con quel dolore. Camera mia non è munita di una finestra molto alta, ma a quei tempi io la vedevo così: mi sollevai in piedi, oscillando sul bordo, indecisa se buttarmi o meno per davvero. A causa della situazione mi venne un attacco di panico e caddi involontariamente» non riuscii a guardarlo sul serio negli occhi, ma fissai con insistenza quella piccola finestra da cui mi ero buttata giù con l'intento di dare un taglio alla mia vita.

𝐔𝐍𝐊𝐍𝐎𝐖𝐍 | [h.s]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora