41. Sono Mike e puoi fidarti di me. || ✓

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Un anno fa

É sempre stato detto fin dalle elementari che il mondo è suddiviso in due parti dall'equatore.
Iniziando dal polo nord, diviso e poi il polo sud.
In più, ci hanno detto anche che al polo nord c'è Babbo Natale e che al polo sud ci sono i pinguini.
Fin da bambina, grazie a mia madre, mi sono sempre innamorata di questo fatto.
Mi è sempre piaciuto immaginare che oltre al mondo e allo spazio, ci fosse stato un'altra parte di universo più piccolo o più grande.

Volevo diventare un astrologa dall'età di tre anni o poco più.
Le stelle, la luna, il sole e i pianeti, mi hanno affascinato più delle pistole o del sangue.
Forse è strano detto da una fuggita che all'età di diciotto anni non sa cosa farne della sua vita se non correre, correre e correre.

«Farai grandi cose, bambina!» mi aveva detto la mamma quattro ore prima di morire.

Le avevo sorriso, contenta che qualcuno credesse in me.
Perché si, io non ero così: ero grassa, amante dei dolci e del fritto e dei film della Disney.
Molti mi prendevano in giro e ricordo di Adam, un bambino che mi faceva i dispetti ancora prima di sapere il mio nome.
Il fatto era che amavo stare sola, per conto mio a sognare e a guardare fuori dalla finestra per sapere cosa potesse succedere l'indomani.
Un po' come Paolo Fox con l'oroscopo.
Io ero della stessa idea.

«Cosa vuoi fare da grande?» mi aveva chiesto la maestra il secondo giorno di scuola.

«L'astrologa, maestra. Mi piacciono i pianeti e le stelle.» avevo riposto senza esitazione.

«Oh.» era stupita.

E un po' tutti i compagni lo erano a dire il vero perché non solo non sapevano cosa era ma era strano io fatto che tra cantante, veterinaria e cuoca io volessi essere diversa comunque.

Ma quando è morta mia mamma, non sapevo cosa farne della mia vita.
Volevo solo che lei, fosse comunque fiera di me; volevo che sapesse che io, nonostante tutto, non preferivo "andare avanti" senza uccidere il colpevole che mi aveva tolto il mio punto di riferimento.

Ho passato così tante cose orribili che nessun essere umano potrà mai capire e non lo auguro a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico.
Sono cresciuta in fretta e un po', speravo di crescere come una snob e figlia di papà, ma almeno avrei saputo che i genitori io li avrei avuti entrambi.

«Ehi, ragazzina! Tutto apposto?» chiede una voce maschile arrocchita.

Mi giro lentamente verso la persona e lo guardo dalla testa ai piedi: un barbone.
Peggio di così, si può?

«No.» breve, coincisa, vera.

«Con tutta questa pioggia prenderai un malanno. Ho dei dollari con me.. pochi, ma almeno posso comprare della cena per tutte e due, seguimi.» dice con un tenero sorriso.

«Se vuoi stuprarmi, lascia stare. Ho perso le forze per colpa di mio padre e mio fratello.»

«O Dio! N-no! Non sono quel tipo persona, non per forza un barbone come me deve essere uguali a tutti, odio l'essere come gli altri, ragazzina.» sbuffa, facendomi cenno di sbrigarmi.

Mi alzo controvoglia dal marciapiede, restia a credergli ma lo seguo comunque con la pioggia farci, a farmi compagnia.
Sono stata ore o forse giorni, chi lo sa seduta su quel marciapiede logoro di un vicolo cieco, arrabbiata e spaventata di venire scoperta e poi portata dinuovo in quel posto.

Ci incamminiamo in silenzio verso una tavola calda, entriamo e il campanellino alla porta, segna la nostra entrata.
Ci sediamo in un tavolo, lontano dal centro e guardo fuori, muta come un pesce.

«Da quanto sei lì?» mi chiede poi.

«Non lo so.» ammetto, seguita da uno starnuto.

Una cameriera si avvicina titubante con una faccia schifiata: «Cosa vi porto?»

«Per me un hamburger con patatine con una birra e lei.. mh, ha la faccia di una che non mangia da giorni quindi fa' lo stesso.» risponde per me l'uomo.

«O-okay, potete pagare?» chiede insicura.

«Senti troietta da quattro soldi che fa tre lavori per pagarsi gli studi, anche andando a letto con gli uomini di cinquant'anni.. smetti di parlare e fare quella faccia e portaci il cibo prima che ti strozzi con le mie mani.» ringhio.

Spalanca gli occhi e fila via dal nostro tavolo.
Il clochard davanti a me, fa un fischio compiaciuto e ride.

«Wow, sono emozionato. Ma come ti chiami?»

Merda.

«Amanda.»

«Faró finta di crederti, Amanda. Io sono Mike e puoi fidarti di me.» sorride.

Sto per rispondere che non mi interessa un cazzo ma la cameriera porta i nostri ordini e io mi tuffo immediatamente come se non mangiassi realmente da giorni.

«Hai più fame di me che vivo per strada.» dice ironico.

Alzo le spalle indifferenze e continuo a mangiare in silenzio e lo stesso fa anche lui.
Appena finito, bevo in tre sorsi la birra e per finire in bellezza, rutto soddisfatta.

«Che donna.» commenta.

«Hai rotto il cazzo.» ribatto.

Alza le mani in segno darresa e lascia una banconota da venti e poi usciamo dalla tavola calda.

«Hai un posto dove stare?» mi chiede dopo minuti in silenzio.

«No.»

Sbuffa una risata e dice: «Vieni con me, giuro che non ti stupro. Ho- avevo una figlia anch'io, quindi ti tratterò come tale.» commenta con una scintilla di tristezza negli occhi.

D'istinto, lo faccio e sempre in silenzio percorriamo una stradina isolata, umida e sicuramente povera.
Arriviamo poco dopo, davanti ad un palazzo dalle mura scrostate e mal ridotto, entriamo e saliamo una rampa di scale traballante fino al secondo piano.
Mike, esce una chiave dalla tasca dei jeans sporchi e apre la porta del suo appartamento.

Mi fa entrare per prima e mi guardo attorno diffidente: c'è un corto corridoio che porta ad un cucinino-salotto, ad un piccolo bagno con una doccia e a due camere.
É pulito qui e mi fa strano vedere un barbone dormire in una.. casa?

«Te l'ho detto, odio esse uguale agli altri.
Comunque, puoi dormire nella stanza in fondo a sinistra o sul divano, come vuoi. Fa come se fossi a casa tua.» risponde.

E qual'é la mia casa?

«Prenderó la stanza se non ti dispiace» rispondo, schiarendomi la gola.

«Va bene, fatti anche una doccia ed io nel frattempo ti porto dei vestiti puliti.» sorride.

Annuisco e mi incammino verso la metà ma prima di entrare in bagno, mi girò verso Mike che mi guarda accigliato: «Grazie.» per tutto.

I'm Scared || COMPLETA - IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora